Una Coca Cola di troppo: “L’emorragia cerebrale spiegata a mio figlio”

Massimo Grassi. Il suo obiettivo per il prossimo anno è partecipare alla Maratona di New York
Massimo Grassi. Il suo obiettivo per il prossimo anno è partecipare alla Maratona di New York

“Papà, sono contento che tu sia rimasto con me”. Mattia, dieci anni, è ancora convinto che Massimo, il suo papà, abbia ingaggiato una battaglia epica per la vita. E in parte è così. “Tutto suo padre”, il libro auto-pubblicato che Massimo Grassi ha presentato ieri all’Ospedale San Giorgio di Ferrara – tappa chiave della sua “rinascita” – è la testimonianza reale e concreta della voglia di uscire dalla malattia. Un’emorragia cerebrale, per l’esattezza, che lo ha colpito il 25 aprile del 2011, all’età di 41 anni.
Massimo, una data indelebile. Che cosa ricorda?
“Ero a Bologna, a casa con la mia compagna. Mattia dormiva di là. Poi tre settimane di black out generale. Mi sono risvegliato al Bellaria con metà del corpo immobilizzato e incapace di parlare”.
Che cosa è successo dopo?
“Mi hanno trasferito al San Giorgio per la riabilitazione della parte motoria. Ed è lì che è entrato in gioco Mattia, che è la musa ispiratrice del libro, oltre che il mio terapista più severo. Mi diceva sempre: ‘Papà, da te mi aspetto di vedere ogni giorno un piccolo miglioramento’. Non è facile spiegare ad un bambino un’emorragia cerebrale: gli hanno detto, per esempio, che avevo bevuto una Coca Cola di troppo”.
copertCom’è andato il suo recupero?
“Prima c’è stato quello fisiologico, poi logopedico, poi psicologico, poi fisico. Ora mancano le finezze: parte del mio corpo è ancora paralizzata, devo riprendere l’uso di una mano e di un braccio e camminare sempre meglio. Paradossalmente, oggi faccio cose che prima non facevo: cucinare, lavare. Ora vivo da solo a Correggio, Mattia lo vedo quasi tutti i fine settimana”.
Che lavoro faceva, prima dell’emorragia?
“Ero impiegato in un ufficio commerciale, mi occupavo di marketing. Adesso sono in pensione ma continuo ad andare tre volte alla settimana al lavoro, perché è fondamentale per l’umore”.
La motivazione e la voglia di lottare quanto contano?
“Moltissimo. Lisa Trevisan, una ragazza colpita dalla mia stessa malattia e curata al San Giorgio, è riuscita a partecipare alla Maratona di New York. Anche io, per il prossimo anno, mi sono posto lo stesso obiettivo. La volontà è tutto”.
Il suo libro serve a spiegarlo?
“Sì, l’ho scritto per lasciare una testimonianza del fatto che crederci, avere fiducia, è importantissimo per rialzare la testa e ricominciare”.

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