La mamma di Aldrovandi: “Federico non è scomparso. Lo ritrovo negli occhi di ogni giovane”

patrizia moretti
Patrizia Moretti con il libro “Una sola stella nel firmamento”

I poliziotti del Coisp che hanno manifestato contro la condanna dei colleghi sotto il suo ufficio, in Comune a Ferrara. E poi gli applausi agli agenti responsabili della morte di suo figlio al congresso del sindacato Sap, a Rimini. Dieci giorni fa, infine, la prescrizione arrivata per Marcello Bulgarelli, l’agente addetto alla centrale del 113 accusato di aver interrotto la registrazione in cui, quella tragica mattina del 25 settembre 2005, il collega gli stava spiegando cosa fosse successo in via dell’Ippodromo a Ferrara. Nonostante tutto Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldrovandi, morto ormai nove anni fa a causa delle percosse subite da quattro poliziotti, poi condannati, non cova rancori. Rabbia tanta, quella sì: “Ma il senso della vendetta non mi appartiene”. L’abbiamo raggiunta venerdì scorso a Marzabotto nell’ambito dell’iniziativa Reno Splash, il festival antirazzista all’interno del quale, rappresentando l’associazione che porta il nome di suo figlio, ha inaugurato la mostra fotografica people #vialadivisa. Fresca della pubblicazione del suo libro “Una sola stella nel firmamento. Io e mio figlio Federico Aldrovandi”, scritto insieme alla psicoanalista Francesca Avon e pubblicato da “Il Saggiatore”, Patrizia ha raccontato il dolore, le battaglie e le speranze vissute in questi anni. Attorniata, come spesso succede, dagli amici storici di suo figlio, all’epoca dei fatti 18enne.
Patrizia, nel libro lei scrive: “Non mi hanno uccisa. C’è mancato poco ma non sono morta quel giorno”. Come è sopravvissuta?
“Credo grazie a Stefano, il mio secondo figlio, che oggi ha 23 anni. Non ho mai voluto caricarlo troppo di responsabilità ma nei fatti è stato il motivo per non lasciarsi andare alla disperazione né a pensieri vendicativi. In lui continuo a vedere Federico, così come vedo Federico in ogni giovane che incontro. Si è incarnato negli altri ragazzi, dove vado avanti a cercarlo e dove lo ritrovo”.
Quanto l’ha incattivita tutta la storia posteriore alla morte di Federico?
“In realtà mi sono meravigliata di me stessa. Non me lo spiego ma non sono divorata dall’odio. Non sono religiosa ma ho una mia forma di spiritualità e ho sempre sentito che, in qualche modo, Federico non è mai scomparso”.
federico aldrovandiDa più parti si è cercato di screditarne l’immagine. A più riprese si è parlato di un eroinomane. Una mamma, in cuor suo, che cosa pensa?
“Da mamma sapevo benissimo che Federico non era un eroinomane. Se si fosse fatto qualche spinello ogni tanto non lo so, può essere. Ma di certo non aveva nessuna forma di dipendenza dalla droga, come hanno cercato di dimostrare. Screditare una persona e delegittimarne l’immagine, creando un mostro, è una strategia che, in questo tipo di reati, serve a fare apparire un omicidio meno deplorevole, non evitabile. Se pensiamo che Federico è morto per mano di quelle persone che dovrebbero fare rispettare la legge, tutto questo è ancora più grave”.

I ragazzi presenti alla mostra people #vialadivisa al Reno Splash di Marzabotto. Con loro c'è Patrizia Moretti
I ragazzi presenti alla mostra people #vialadivisa al Reno Splash di Marzabotto

L’Associazione Federico Aldrovandi si batte affinché, tra le altre cose, venga reintrodotto il reato di tortura e venga attribuito il numero identificativo ai rappresentanti delle forze dell’ordine. In che modo?
“Le nostre battaglie per cambiare le leggi sono solo una parte del lavoro che portiamo avanti da nove anni e da qualche tempo, in maniera formalizzata, attraverso l’associazione. Quello che vorremmo cambiasse è la cultura che c’è all’interno delle forze dell’ordine. Abbiamo visto da subito dopo la morte di Federico che la richiesta di verità e di giustizia è passata attraverso l’arte. Pensiamo al documentario di Filippo Vendemmiati, che ha vinto il David di Donatello. O alle numerose canzoni che sono state scritte, come quella dei Modena City Ramblers, solo per citarne una. Le foto della mostra people #vialadivisa sono l’ultimo esempio: persone che, pur non essendo invitate da noi, hanno scelto di fotografarsi per dire che i poliziotti condannati dovrebbero essere destituiti. Un movimento che si allarga e che sottolinea quanto l’emergenza da risolvere sia culturale”.
Nessuna manifestazione di solidarietà dalle divise?
“Sì, dopo la sentenza della Cassazione il capo della Polizia Antonio Manganelli ci chiese scusa. Sono arrivate anche manifestazioni di vicinanza da parte di singoli rappresentanti delle forze dell’ordine all’indomani degli spiacevoli episodi successi sotto il Comune di Ferrara e poi a Rimini. Una lettera di solidarietà ci è stata mandata dalla guardia di finanza di Firenze. Anche le maggiori cariche istituzionali dello Stato hanno mandato messaggi. Ma restano parole vuote se non seguono provvedimenti materiali”.
Una donna come lei, colpita da un dolore così grande, riesce a credere ancora nella giustizia?
“La giustizia è la coscienza civile, non quella che si fa nei tribunali. Peccato che la presa di consapevolezza delle persone venga ostacolata da personaggi come Giovanardi, che oltre a definire Federico un eroinomane, sostenne che nella foto del suo cadavere il rosso non era il sangue della testa ma un cuscino. Cose che non solo fanno male ma che, se ripetute, possono trasformarsi da bugie a verità, soprattutto nella mente di chi non è dentro le questioni in profondità”.
“Reagire o diventare pazzi”: le strade sono due, si dice nel libro. Altre mamme colpite da vicende simili alla sua non hanno avuto la stessa forza…
“A me è venuto tutto naturale, istintivo. So, per esempio, che la mamma di Gabriele Sandri si è chiusa in se stessa ed è il marito a combattere. Sono in stretto contatto con le famiglie di Stefano Cucchi e Giuseppe Uva: condividere le stesse sorti, per quanto orribili, aiuta”.

Qui sotto il video della canzone dei Modena City Ramblers “La luna di Ferrara” dedicata al caso Aldrovandi

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