“A mia figlia, che ha otto anni, insegno che il no è un valore”. Cristina D’Aniello, magistrato del tribunale di Ravenna, ha partecipato ieri sera all’incontro sul femminicidio organizzato dalla Cgil nell’ambito del festival “Donne in Opera”. Dove ha raccontato alcuni casi di violenza che ha seguito e sta seguendo in prima persona: “Ogni volta noto con stupore che l’imputato, processato per stalking o maltrattamenti, continua a sostenere di amare la donna che perseguita, picchia o violenta. Mi è successo anche di recente: l’uomo aveva addirittura accoltellato la compagna. Alla fine del processo mi si è avvicinato chiedendomi se poteva parlare con lei, perché gli mancava. Pochi giorni fa, nel corso di un altro processo per stalking, l’avvocato dell’imputato continuava a dire che si trattava di un amore malato ma pur sempre di un amore. No, questo è un reato, l’amore non c’entra”.
Un altro caso di questi giorni è quello di una donna che è arrivata a denunciare il suo uomo per stupro solo dopo quindici anni che subiva: “Si è sentita costretta a farlo solo quando è arrivata in ospedale. Dove però ha subito detto che, nonostante le violenze, lui è un buon padre. Le donne, spesso, sentono di dover dare delle giustificazioni quando vengono maltrattate. Segno di una cultura sbagliata che è venuta avanti negli anni”.
La D’Aniello ha fatto alcuni esempi molto eloquenti dell’iter legislativo italiano: “Non dimentichiamo che fino al 1981 esisteva il delitto d’onore. Non solo: nello stesso anno fu abrogato il matrimonio riparatore, che consentiva ad un uomo di vedere cancellato il reato di stupro se sposava la donna che aveva violentato. Il famoso caso di Franca Viola, che si ribellò al suo aguzzino, ha fatto storia. Ma all’inizio nessun avvocato voleva difenderla”. Anche l’adulterio, se lo commetteva la donna, era punito in maniera pesante, addirittura con un anno di carcere: “Nel 1961 la Corte Costituzionale disse che l’infedeltà da parte della donna minava la morale della società. Solo nel 1966 questa concezione venne considerata illegittima”.
Insomma, per il magistrato la rivoluzione da compiere è grande: “Piccoli spiragli s’intravedono con la nuova legge sul femminicidio, che per esempio allunga la possibilità della querela per stalking a sei mesi, anziché tre. E prevede che se lo stalking è effettuato con minacce pesanti, la querela non è remissibile. Siamo solo agli albori ma qualcosa si muove. Purtroppo i femminicidi sono spesso preceduti da segnali forti che non sono stati colti dall’autorità giudiziaria. Senza contare che la risposta giudiziaria è sempre fallimentare, perché il magistrato interviene dopo il fatto”.
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