Mele, il piccolo disabile con un grandissimo talento: dipinge con il corpo

i quadri di MeleE’ un “luogo della pittura mondiale” quello che ospita, da sabato scorso, i quadri di “Mele”, il bambino di 6 anni che, a causa di una grave disabilità, non può fare nulla da solo, ma dipinge con tutto il corpo per raccontare ciò che non può dire con le parole. Ha inaugurato sabato 26, in presenza di tanti visitatori e critici d’arte, presso la basilica della Santissima Annunziata, la mostra “La vita dipinta di Mele”, che resterà aperta fino all’11 maggio. “Inizialmente, i frati avevano risposto di no, che non si poteva ospitare la mostra di un bambino in quel ‘luogo della pittura mondiale’ – racconta Chiara Paolini, la mamma di Emanuele Campostrini, in arte Mele – Ma quando hanno visto il materiale che ho inviato loro via mail, mi hanno subito richiamata per dire che assolutamente la mostra andava fatta, perché Mele è un maestro dell’arte aniconica”.

Mele dipinge da quando aveva tre anni. Oggi ne ha sei. “La sua malattia sempre lì, non torna indietro – spiega la mamma – Crisi epilettiche e arresti respiratori ogni giorno, non cammina, non parla, non può fare niente da solo. Però questo talento era lì, aspettava di essere scoperto. Gli abbiamo dato la possibilità di manifestarlo ed è uscito fuori l’artista che era in lui”. Ecco perché, secondo Chiara, “questa mostra non vuole essere un ‘riscatto’ per la famiglia, come qualcuno ha detto. Né un tentativo di riqualificare la persona in base a quello che riesce a fare, come spesso provano a fare giornali e televisioni quando parlano di disabilità. Con Mele- spiega Chiara – è avvenuto esattamente il contrario: gli abbiamo dato valore per quello che era e così è riuscito a dimostrare ciò che sapeva fare”. Le capacità artistiche di Mele, infatti, riconosciute oggi da diversi critici d’arte, sono state scoperte per puro caso. “Il fratello maggiore di Mele aveva 5 anni e le maestre della materna si lamentavano che colorasse male, uscisse dai bordi, non riempisse gli spazi bianchi. Così, un giorno, sono uscita e gli ho comprato tempere e una tela. Poi ho pensato che, avendo due figli, dovessi comprarne due, di tele. E così ho fatto. I bambini hanno dipinto senza vestiti, con i pennelli ma soprattutto con le mani e con tutto il corpo, liberamente. E il quadro di Mele ci è sembrato subito bello”.

Da quel giorno, Mele non ha più smesso di dipingere. “Lavora soprattutto in primavera ed estate, quasi sempre in giardino, perché usando tutto il corpo con i colori, mi distruggerebbe casa… Utilizza il pennello, ma molto di più le mani e tutto il corpo. A volte sta seduto sulla sua poltroncina, altre volte lo dobbiamo tenere sospeso, sulla tela distesa a terra, e spostarlo sopra di questa. E’ molto faticoso, ora che è diventato grande”.

Mele non sa prendere da solo i colori, né dire cosa gli occorre, ma la mamma riesce a interpretare le sillabe che pronuncia o i gesti imprecisi delle sue mani, per cui gli fornisce tutto quello di cui ha bisogno per riportare sulla tela ciò che ha nella mente. “L’ultima volta che ha dipinto – racconta chiara – è stato a marzo, di ritorno dalla vacanza sulla neve. Aveva sciato, era stata una grande esperienza, che subito ha voluto riportare sulla tela, dipingendo quattro quadri sullo stesso tema”.
Le ultime opere di Mele non sono contenute nel catalogo della mostra, stampato da una casa editrice delle monache trappiste. “E’ un catalogo molto bello – racconta Chiara – che raccoglie tutti i dipinti di Mele dal 2011 al 2013. Abbiamo voluto chiuderlo con la traduzione di un’omelia del cardinale von Galen contro lo sterminio nazista dei disabili. Un’omelia molto coraggiosa, per i tempi in cui è stata scritta”. La mostra non ha ricevuto finanziamenti, ma si è auto sostenuta tramite un crowfounding completamente “trasparente”: sul sit è infatti possibile conoscere esattamente i costi sostenuti per la realizzazione della mostra e le donazioni raccolte. C’è poi anche un altro particolare, che rende la mostra di Mele particolarmente interessante: il titolo di ogni quadro è tradotto non solo in inglese, ma anche in Wls, un linguaggio simbolico (Widgit literacy symbols) utilizzato nella comunicazione aumentativa alternativa (Caa). “Abbiamo iniziato questo percorso due anni fa presso il Mangiagalli di Torino – riferisce la mamma di Lele – e abbiamo scoperto quanto sia importante questo tipo di comunicazione per bambini come Mele. In particolare – aggiunge – negli ultimi tempi stiamo sperimentando, su consiglio dei medici, il puntatore oculare, che permette a Mele di comunicare senza fare troppa fatica e con l’ausilio di un computer. E’ un’esperienza straordinaria, perché la macchina non imbroglia: l’ausilio freddo, ma obiettivo, ci sta confermando che Mele ha davvero molto da dire. Noi già capivamo bene quello che diceva, ma ci veniva, a volte, il dubbio di interpretarlo male. Questo tipo di comunicazione spazza il campo da ogni scetticismo e restituisce autonomia e dignità alla persona”.

Fonte: Redattore Sociale

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