Come non esistono giocattoli per bambini e per bambine, così non ci sono ruoli più adatti ai bambini invece che alle bambine. Francesca Ponci, psicologa ravennate, sarà questa sera alle 21 alla sala convegni del Centro culturale polivalente di Russi (via Cavour, 21) per l’incontro “Il genere delle favole”, il secondo del ciclo “Conversazioni educative” coordinate dal pedagogista Ernesto Sarracino. Con sé avrà un paio di fiabe classiche come “Biancaneve” e “Cenerentola” ma anche una new entry del panorama editoriale come “C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa rosa?” della casa editrice settenove, secondo l’esperta una delle poche novità positive, in tema di lotta agli stereotipi, negli scaffali delle librerie.
Dottoressa, un genitore che cosa può fare davanti ad immagini rigide e ripetute di mamme con il grembiule e papà in poltrona?
“Farsi delle domande è già molto. La famiglia, contro il dilagare degli stereotipi che purtroppo anche la scuola veicola, può agire da filtro dando ai bambini un paio di occhiali diversi con i quali guardare il mondo. In questo senso, quando si compra o si legge un libro ai propri figli, è necessario selezionare, interrogandosi sul messaggio che vogliamo far passare attraverso le pagine”.
Gli strumenti esistono?
“Cominciano ad esserci degli esempi positivi, più nei libri che nei giocattoli: bisogna essere curiosi e cercarli. Soffermarsi sulle fiabe classiche è limitativo: pensiamo alle principesse della tradizione, che hanno sempre bisogno di una figura terza, in genere il principe, che le salvi. Le femmine, dal canto loro, sono sbadate, si pungono con un fuso o mangiano la mela avvelenata, per nulla artefici della propria realizzazione personale. Del principe, al contrario, non sappiamo nulla se non ciò che rappresenta: il coraggio e la determinazione che gli servono a fare della fanciulla una conquista, una preda”.
Qual è il rischio di leggere storie così stereotipate?
“Il rischio è che vengano tramandati e riprodotti modelli sociali fortemente tradizionali che veicolano comportamenti differenziati tra uomo e donna. I bambini, in questo modo, vengono indotti a pensare di essere di fronte a tratti naturali, che non dipendono invece dalle caratteristiche di ognuno di noi. Necessario, al contrario, è comunicare che le qualità positive o negative sono tipiche di una personalità, non di un genere maschile o femminile”.
I genitori sono pronti a sradicare certi luoghi comuni nelle loro teste, prima di tutto?
“Non troppo, ma quando si pongono l’interrogativo sono già piuttosto avanti. C’è una rivoluzione da fare, una rivoluzione che io considero urgente: collaborando con Linea Rosa, so bene come la passività e la subordinazione alle quali certe donne sono relegate dalla cultura dominante sia pericolosa. Dobbiamo combattere da subito contro quello che ci è stato sempre detto e insegnato”.