Andrea Delogu, autrice del libro “La collina” (Fandango) insieme ad Andrea Cedrola

Andrea era quella che viveva “su”. Quando sentì dire da una compagna di scuola che “su” c’erano i drogati, storse il naso: non ne sapeva assolutamente nulla. Crescere a San Patrignano deve forgiarti parecchio. Andrea Delogu lo sa. Nata a Rimini da genitori tossicodipendenti, fino all’età di dieci anni è rimasta nella comunità diretta da Vincenzo Muccioli. E oggi quei ricordi si mescolano alla finzione del romanzo, ma anche alle testimonianze di altri ragazzi disintossicati “su” che Andrea, insieme al suo coautore Andrea Cedrola, ha intervistato per dar vita al libro “La collina” edito da Fandango.
Andrea, ci si immagina una comunità di recupero per tossicodipendenti come un luogo di prigionia. Tu invece descrivi un’infanzia meravigliosa: com’è possibile?
“Sono stata una bambina molto felice. San Patrignano per me era il paradiso: campi, stalle, animali. Uscivo e rientravo quando volevo, si mangiava tutti insieme, dipingevamo la ceramica. Ricordo una grande libertà. Negli ultimi anni, con i miei genitori, avevamo una casetta nostra: io dormivo nella mia stanza. La mattina sceglievo la merenda e prendevo l’autobus per andare a scuola ad Ospedaletto”.
In classe eri vista in qualche modo come la “diversa”?
“No, innanzitutto perché eravamo in molti a venire dalla collina. E poi perché a quell’età non si hanno malizie: non mi sono mai sentita discriminata. Quando una bambina disse che a San Patrignano c’erano i drogati, la presi per matta. Quella era casa mia”.
Sapevi però di essere in un luogo particolare, che aveva lo scopo di “guarire” chi era caduto nella trappola dell’eroina?
“Io sapevo che era un posto dove le persone potevano stare meglio ma in testa non avevo chiaro quale fosse il problema. Sentivo a volte dai discorsi dei miei genitori che in passato avevano avuto qualche difficoltà ma a me non interessava. Quelli erano mio padre e mia madre. E basta”.
Oggi come stanno?
“Benissimo. Sono usciti dalla comunità dopo dodici anni. Si sono separati più tardi, per motivi loro, ma sono ancora molto amici. Un’esperienza come quella ti lega a vita”.
Gli aspetti più oscuri della vita di San Patrignano, come i maltrattamenti riservati ai tossicodipendenti o l’omicidio del 1989, come si coniugano al ricordo felice della tua infanzia?
“Quando sono diventata grande ho iniziato a farmi delle domande, a capire. Ed è stata dura liberarsi dai miei ricordi personali, o almeno attutirli, perché facessero i conti con quello che avveniva a San Patrignano. Non è stato semplice cambiare idea su Vincenzo Muccioli, che avevo sempre visto come un padre, come uno della mia famiglia. Però nessuno ti dice chi amare, succede e basta: e io lo vedo ancora come un omone dotato di un’energia e di un carisma incredibili”.
Quella di scrivere è stata un’urgenza, una necessità?
“Sì. Ad un certo punto della mia vita ho sentito l’esigenza di raccontare la mia storia. All’inizio avevo in testa l’idea di un film. Poi ho incontrato Andrea Cedrola, che nella vita online casino australia fa lo sceneggiatore e che ha una facilità di scrittura pazzesca. E così abbiamo rischiato, accorgendoci dopo poco di essere sulla strada giusta”.
Sei mai tornata a San Patrignano?
“Solo una volta, due anni fa. Ed è stato come esorcizzare certe incongruenze, certi contrasti. In realtà per molti anni ho vissuto a 12 chilometri da lì ma sapevo che non potevo entrare: ci vogliono permessi speciali per farlo. Un conto, però, è vivere in America sapendo che un giorno comprerai un biglietto aereo e tornerai. Un altro conto è essere a pochi passi, con l’impossibilità di vederla, almeno per l’ultima volta”.
Nel libro tu e Cedrola avete cercato di mantenere un punto di vista doppio sulla comunità. La visione infantile idilliaca, dunque, non prevale…
“Sì, abbiamo voluto preservare l’ambivalenza, il bianco e nero. Del resto ‘La collina’ non è un libro di denuncia. È un libro ispirato a…”.
Sei uscita 22 anni fa da San Patrignano: come fu entrare nella realtà, quella vera?
“Meraviglioso perché per me era tutto nuovo: andare al supermercato e poter chiedere ai miei genitori di comprarmi i biscotti che volevo mi sembrò paradisiaco. Fino a quel momento avevo trascorso solo brevi periodi fuori, per andare a trovare i nonni durante le vacanze. Ma non fu per nulla traumatico stabilirsi in pianta stabile a Rimini: certo, prima non ne avevo mai sentito la necessità perché la realtà per me era San Patrignano e non mi mancava nulla lì. Ricordo quando in comunità allestirono una fiera e mi avvicinai al banco delle caramelle: la signora mi chiese se avevo i soldi per pagarle. E io pensai: ‘Scusi? Per quale motivo?’”.
Saresti la stessa Andrea Delogu se fossi cresciuta fuori?
“No, ne sono sicurissima. I miei genitori hanno commesso un errore di gioventù che hanno pagato caro. Ma mi hanno passato una grande profondità nel capire perché le cose succedono. Questo mi rende davvero orgogliosa di loro. Sono una persona felice, serena”.