Al posto della classica fettina di carne accompagnata da due foglie d’insalata, ora i celiaci potranno cucinarsi un bel piatto di polpette come Dio comanda. E partendo da chi, se non da Pellegrino Artusi, punto di riferimento della cucina italiana? Il libro – “L’Artusi senza glutine” edito da Il Ponte Vecchio – lo ha scritto una mamma celiaca con un bambino celiaco, Margharet Evangelisti. A presentarlo, oltre all’autrice, domani sera alle 19 nella Corte di Casa Artusi a Forlimpopoli – nell’ambito della Festa Artusiana – ci sarà anche Paolo Rosetti, consigliere per Forlì dell’Associazione italiana celiachia.
La celiachia è in aumento o è cresce semplicemente la capacità di diagnosticarla?
“Ci sono stati grandi progressi nell’individuazione, se pensiamo che basta un esame del sangue per fare partire l’iter. D’altro canto siamo abituati ad un’alimentazione nella quale si esasperano le farine: il glutine è un addensante e a livello industriale è molto usato”.
Quante persone ne soffrono?
“Si parla dello 0,80/0,90 percento della popolazione. Noi lavoriamo in stretta collaborazione con i medici di base e con i pediatri: la formazione è rivolta a tutti. Ciò non toglie che i pediatri siano da sempre i più informati, perché in passato si pensava che la celiachia fosse una malattia dell’accrescimento. Ecco perché nelle statistiche i bambini sono più degli adulti. C’è chi ha avuto la diagnosi a settant’anni”.
Lei è celiaco. Anche i suoi figli lo sono?
“No, oltretutto sono avvantaggiati perché sono costantemente sotto controllo. Ogni tot di tempo vengono ripetuti gli esami. Stando a quello che sappiamo dalla scienza, alla quale noi volontari non vogliamo certo sostituirci, la celiachia è una predisposizione genetica. Ma il fattore che la fa scattare non è ancora chiaro”.
In Emilia-Romagna quanto soci avete?
“Settemila su settanta mila a livello nazionale. La nostra è una delle regioni con il più alto numero di diagnosi, grazie al buonissimo livello della sanità”.
Com’è la vita di un celiaco?
“La qualità di vita può essere ottima se ci si adatta un po’. Oggi sono in Toscana e a pranzo ho preso una bella bistecca. Ho saltato il primo, questo sì. Non ho potuto ordinare una pizza. Ma conoscere aiuta a liberarsi dai limiti che sentiamo. Senza contare che grazie all’Aic in ogni capoluogo di provincia italiano ci sono due o tre ristoranti che propongono menù gluten free”.
Chi li controlla?
“Le aziende sanitarie. Chi fa la pizza senza glutine deve avere un forno separato, per esempio, per non rischiare che la farina di grano si mescoli a quella per i celiaci che può essere di riso, di grano saraceno, di mais”.
La piadina, invece, per voi è proibitiva?
“Questo è un tasto dolente: noi consigliamo, nel dubbio, di non mangiare quella artigianale. I chioschi sono ancora troppo piccoli per potersi permettere due piani di lavoro separati e due testi. Molti, ultimamente, hanno inserito la piadina di farro o di kamut che però contengono glutine. Al massimo i celiaci possono prepararla a casa, con le farine a loro consentite, o acquistare quelle confezionate senza glutine”.
Ci si arrangia, insomma…
“Assolutamente sì. Margharet Evangelisti ha addirittura preso come riferimento l’Artusi. Su 500 ricette è riuscita a convertirne 150, riportando addirittura la numerazione originale”.
Per informazioni
www.celiachia.it
www.aicemiliaromagna.it/aic/0news/news2.php#.UcmnM44dJTs
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