Capita di convincersi che quella bambina che entra in ambulatorio si lamenti del mal di pancia perché sta somatizzando una madre ansiosa. Salvo scoprire, dopo qualche mese, che soffre di una malattia infiammatoria cronica dell’intestino che dovrà tenersi per tutta la vita. Capita più spesso il contrario: si sopravvalutano sintomi che non nascondono nulla di che. Due estremità difficili da evitare e che verranno raccontate ai pediatri di base domani al corso di aggiornamento dal titolo “Un anno di storie di casi di bambini indimenticabili” in programma all’ospedale di Ravenna. Tra gli organizzatori c’è Ugo Ceroni, che fa il pediatra di famiglia dal 1984. E che ne ha viste davvero di tutti i colori, nel bene e nel male. 
Dottore, i titoli degli interventi di domani sono molto ironici: “Il torcicollo con anche un buco in testa”, “Non ci vedo ed ho gli ANA positivi”, “Il diabete non è una…MODA”. Che intento c’è dietro?
“Vogliamo catturare l’attenzione dei medici intorno ad alcune storie esemplificative che rendano l’idea di quanto a volte sia necessario sdrammatizzare, altre sia utile invece fare maggiore attenzione”.
Come si fa a capire se la lamentela di un bambino ci deve far preoccupare o no?
“Io credo che la conoscenza sia la condizione si base. Anche l’esperienza aiuta. Ma la vera chiave di volta sono i dettagli: sono quelli che devono farci accendere un campanello d’allarme”.
Si è sempre così attenti da coglierli?
“Purtroppo no. Una volta hai un pensiero per la testa, un’altra sei distratto, un’altra ancora sei convinto in partenza di una certa diagnosi”.
Un pediatra si perdona?
“Al di là della reputazione, quando siamo da soli davanti allo specchio non abbiamo avvocati. Ripercorriamo con la memoria questa o quella visita e ci accorgiamo che magari potevamo fare di meglio. In quel momento siamo soli con la nostra coscienza”.
Dove sta il segreto?
“Non ci sono segreti. Il nostro è un giochino che assomiglia al lavoro di Sherlock Holmes: il fatto che un elemento anche piccolo ci sia o non ci sia fa la differenza, cambia una diagnosi. Presente i quiz dei concorsi? Se si risponde in fretta, senza leggere attentamente la domanda, è facile sbagliare. Spesso c’è un elemento minuscolo che cerca di ingannarci”.
Nessun pediatra, quindi, si può mai considerare arrivato…
“Assolutamente no. Ogni caso è a sé e conta molto l’umiltà. Anche se per una volta sei stato l’unico dell’ospedale, della provincia o del mondo a capire cosa celava un sintomo, non ne diventi un esperto a vita. La volta dopo potresti non riconoscerlo o addirittura potresti vederlo dove non c’è”.
Le è capitato?
“Ricordo il caso di una bambina che aveva un linfoma, poi per fortuna risolto. La diagnosi che aveva fatto il luminare in questione si rilevò scorretta ma siccome il collega era in vista e convinto di quello che diceva, tutti noi pediatri cercammo di dargli ragione, cercando conferma delle sue certezze in tutte le riviste scientifiche del mondo. Sbagliammo a farlo. Quella volta ho imparato che bisogna essere liberi di cuore”.
Però succede che si dia troppa importanza a dolori che non dovrebbero far preoccupare. Ci fa un esempio?
“Il dolore all’anca, il bambino che zoppica. Mica è sempre sinovite. A volte è un semplice risvolto di una banale influenza”.
In generale bisogna ascoltarli di più, i bambini?
“Bisogna ricordarsi com’erano la volta prima che li hai visti, così da fare un confronto. E bisogna prestare più attenzione alle mamme, a volte dicono cose significative. Ma noi non ci prendiamo il tempo di ascoltarle”.
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