“Un ragazzo che gioca a prendere il tè con le bambole? Qualche mamma non lo vede ancora di buon occhio”. Monica Archibugi è titolare insieme ad altre due ragazze dell’agenzia Le Cicogne che a Roma recluta baby sitter dai 18 ai 28 anni: sia donne che uomini. Ma per questi ultimi, tramutare la propria candidatura in lavoro vero è dura: lo stereotipo della donna come unica o privilegiata deputata ad occuparsi di bambini impera. Intervistati dal Fatto Quotidiano, i ragazzi hanno raccontato di essere discriminati dalle famiglie proprio in quanto maschi. Abbiamo allora parlato con l’unico baby sitter uomo che nel 2010, in Comune a Ravenna, ha frequentato il corso per essere inserito in uno speciale elenco dal quale le famiglie del territorio possono attingere in caso di necessità di organizzazione familiare. Alessandro Bandini è per motivi di ordine alfabetico il primo di una lista di 26 persone di cui 25 sono appunto donne.

La sua è un’esperienza positiva sebbene nei fatti, dopo la fine del corso, non abbia mai lavorato come baby sitter: “Dopo poco tempo ho trovato lavoro in una cooperativa che si occupa di traslochi e sgomberi nel Faentino. Gli impegni professionali e la distanza da Ravenna mi hanno sempre impedito di soddisfare le richieste dei genitori che mi chiamavano”. L’ultima telefonata è arrivata qualche giorno fa. Sono in tutto una ventina quelle che Alessandro ha ricevuto in questi tre anni. Non male, per un uomo: “Io ho 44 anni e devo dire che molte delle famiglie che mi hanno telefonato si aspettavano che fossi più giovane. Questo, forse, le inibiva più del fatto che io sia un uomo. Anzi, molte mamme si sono mostrate positivamente incuriosite. Oltretutto io sono padre di una ragazzina di 14 anni e sono anche animatore. La mia condizione, insomma, non l’ho vissuta come un handicap”.
Eppure il problema esiste. Monica Archibugi, per invertire la tendenza, alle sue ‘cicogne blu’ dà spesso alcuni basilari consigli: “E’ inutile che si propongano per tenere bambini da zero a tre anni, le famiglie non associano ancora un uomo al cambio di un pannolino. L’altro ostacolo sono le bambine femmine: una mamma non le affiderebbe quasi mai ad un maschio. Diverso il caso in cui la bambina abbia un fratello”. Problema culturale? Secondo Monica solo in parte: “Credo che le convinzioni delle mamme siano legate, più che ad un discorso di stereotipi, alla situazione che a loro volta hanno vissuto a casa. Se hanno avuto come riferimenti uomini che si occupavano di bambini, sono più propense a prendere un baby sitter. Diversamente, è molto difficile”. Per Monica si riduce tutto al tema del gioco: “Una mamma, quando considera l’idea di un baby sitter, pensa al fatto che questo sia o no in grado di giocare a mamma e figlio”.
Ma gli uomini si buttano sempre più in mestieri di cura: “Su 150 persone, nella nostra agenzia gli uomini sono venti. A noi piace sponsorizzarli, spesso chiamiamo le famiglie che li rifiutano per raccontarne motivazione e capacità”.
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