Educatori maschi negli asili? Genitori e insegnanti non sono così convinti

Più uomini nei servizi per l’infanzia. Più educatori a fianco delle educatrici. Allo stesso tempo, un maggior coinvolgimento delle figure maschili (papà, nonni) nel lavoro di cura a casa, con i propri figli e nipoti. E’ quanto raccomandava l’Europa nel 1992, più di vent’anni fa. A distanza di due decenni la Regione Emilia-Romagna ha avviato una ricerca a campione su un numero ben più esteso di servizi non solo 0-3, ma 3-6 pubblici e privati, unitamente ai Centri per le Famiglie, che nel frattempo sono cresciuti numericamente sul territorio regionale, per indagare su come pregiudizi e stereotipi agiscano nelle relazioni di genere tra padri e madri, tra educatori ed educatrici, tra coordinatori pedagogici e coordinatrici pedagogiche.
Dai dati raccolti nel 2011 e 2012 emerge che la figura educativa maschile all’interno dei servizi per l’infanzia rimane una questione molto controversa. La quasi assenza delle figure maschili nel mondo della scuola pone interrogativi scomodi e controversi. Quali sono le aspettative e le rappresentazioni dei genitori legate al ruolo degli educatori maschi? E’ giusto e “naturale” che la grande maggioranza del corpo insegnanti sia composto da donne? Che cosa pensano i genitori del rapporto tra il maschile e la cura educativa? E’ possibile immaginare una maggiore interdipendenza e interscambiabilità tra i ruoli educativi maschili e femminili, nell’educazione al genere, in famiglia, così come a scuola e nella società? Dalle voci e dalle rappresentazioni dei genitori, emergono diversi motivi alla base della bassissima desiderabilità nei confronti di queste professioni da parte degli uomini: persistono ragioni culturali e conseguenti rappresentazioni del maschile e del femminile a cui corrispondono determinati, molto spesso pre-determinati ruoli di genere; le donne continuano ad essere ritenute più adatte al lavoro di cura; si ipotizzano ragioni di tipo economico, che fanno delle professioni educative degli sbocchi professionali poco attraenti dal punto di vista remunerativo, e un’implicita svalutazione sociale che può influire sulle scelte lavorative.
Questo, insieme alla riflessione sulla femminilizzazione del lavoro educativo, solleva anche una questione sulla trasmissibilità del modello, attraverso un lavoro che finisce per autoriprodursi all’infinito, un lavoro da donne, per istinto materno e vocazione, da cui i maschi scappano. I genitori pensano però che la percentuale di uomini nei sevizi per l’infanzia aumenterà per il cambiamento culturale che avvicina gli uomini all’infanzia. Secondo i risultati della ricerca curata dal Centro studi sul genere e l’educazione (Csge) del Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna, sarà necessario allora continuare a riflettere sulla costruzione delle identità e dei ruoli di genere all’interno della famiglia, per arrivare a superare la convinzione che un insegnante maschio debba rappresentare necessariamente la figura paterna o un modello di “mammo”.

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Commenti:

  1. Sarebbe necessario sdoganare anche un modello che prevede più femmine nelle miniere e nelle acciaierie,eliminando una volta per sempre lo stereotipo femminista per cui certi lavori mal retribuiti,pericolosi,e poco retribuiti,che sono appannaggio esclusivo degli uomini,siano una cosa che deve riguardare solo gli uomini,a appunto.

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