L’Unar si mette in gioco e fa una scommessa a lungo termine: sensibilizzerà i giovani educandoli a un uso più consapevole di Internet. Perché sono sempre di più i giovani che scrivono post su Facebook a sfondo razziale, post che poi vengono condivisi, moltiplicandosi. Ma non sono solo i giovani i protagonisti di questo spiacevole movimento: ci sono anche i politici e i rappresentanti delle istituzioni, che si giustificano rifugiandosi nella famosa “libertà di pensiero”, diritto che l’ Unar difende con le unghie e con i denti ma che, sottolinea, non ha niente a che vedere con le opinioni riguardanti le politiche sull’immigrazione.
L’odio razziale non si ferma nemmeno davanti ad una tragedia come quella dello scorso 19 aprile: tra i 700 e i 900 i migranti morti nel canale di Sicilia, solo 28 i superstiti. Lo testimonia Marco de Giorgi, direttore Unar, che solo nel 2014 ha registrato 347 casi di espressioni razziste sui social, di cui 185 su Facebook e le altre su Twitter e Youtube. A cui se ne aggiungono altri 326 nei link che le rilanciano. Per un totale di quasi 700 episodi di intolleranza.
È proprio negli ultimi giorni che l‘Unar ha ricevuto numerose segnalazioni di commenti xenofobi a seguito del naufragio. Ma come si può risolvere questo fenomeno sempre più dilagante? Spesso si pensa che per eliminare un post su Facebook piuttosto che su Twitter basti segnalarlo come spam, così come quando si vuole eliminare un manifesto da un muro lo si denuncia all’ufficio affissioni del comune, ma sul web notizie e post vengono ripresi e linkati centinaia di volte, così diventa più difficile. In certi casi però l’ hate speech (così viene chiamato universalmente l’ incitamento all’ odio) può avere rilevanza penale e l’Unar in collaborazione con Oscad (Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori) e la polizia postale può tempestivamente eliminare questi post offensivi. Nel caso in cui post e commenti possano costituire illecito penale, c’è la segnalazione alla Procura della Repubblica per verificare se sussistono gli estremi della Legge Mancino sull’istigazione all’odio razziale. Ma può anche accadere che non sia così, in questo caso Google e Facebook (con i quali Unar ha avviato una collaborazione) segnalano i casi all’Unar, che scrive a Facebook che il post viola i principi di dignità e Facebook blocca i profili.
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