Toxoplasmosi, citomegalovirus, rosolia, sifilide, streptococco del gruppo B. Le infezioni materno-fetale non sono rare come si penserebbe, anzi. Lo dicono i dati delle Ausl romagnole. Vittorio Sambri, direttore dell’Unità operativa di Microbiologia-Laboratorio Unico di Area Vasta Romagna, ci racconta quante donne in gravidanza sono incappate in infezioni nel 2012.
Dottore, qual è stata l’incidenza delle infezioni?
“L’anno scorso, su un totale di 12mila gravidanze monitorate, abbiamo registrato 57 infezioni da toxoplasma. Su 7mila gravidanze, ci sono state 97 infezioni da citomegalovirus. Sono numeri consistenti. La stessa trasmissibilità ce l’ha la rosolia, che ha colpito venti su 8.100 gravide. In questo caso l’incidenza è più bassa grazie al vaccino. In Area Vasta la copertura vaccinale delle donne in età fertile è dell’85-90%. Non è totale perché molte donne immigrate non sono vaccinate”.
Che cosa si può fare, invece, per evitare toxo e citomegalovirus?
“Nel caso della toxo, se una donna è sieronegativa quando rimane incinta deve stare attenta al contatto con i gatti, alla verdura da orto che va ben lavata, agli insaccati e alla carne cruda. Nel caso del citomegalovirus, la trasmissione è interumana e il rischio è più alto per le donne con bimbi piccoli e per chi lavora a contatto con i bambini. La condizione auspicabile è la sieropositività”.
Quale infezioni dà le conseguenze peggiori?
“La rosolia: interruzioni spontanee di gravidanza, serie complicazioni all’occhio tra cui la cecità congenita, modificazioni nelle capacità di apprendimento. Nel caso della toxoplasmosi e del citomegalovirus, quando il bambino nasce sta apparentemente bene ma va seguito per anni”.
Quali terapie esistono per cercare di arginare le conseguenze delle infezioni?
“Per la toxoplasmosi, ci sono terapie la cui totale efficacia è ancora da dimostrare. Nel caso del citomegalovirus, terapie accertate non ce ne sono. Bisogna stabilire il livello di infezione del feto ma non è detto che ci si riesca”.
In casi estremi consigliate l’interruzione volontaria di gravidanza?
“No, è una scelta della donna. Il problema è che siamo in grado di fare la diagnosi certa sulla madre ma non siamo in grado di farla sul feto. Ci esprimiamo solo con la probabilità di rischio”.
Le donne sono abbastanza informate sull’argomento?
“Dipende dal ginecologo o dall’ostetrica che le segue. Facciamo l’esempio di un’altra infezione, quella da streptococco. Tra la 34esima e la 37esima settimana va eseguito un tampone vagino-rettale. Se è positivo, al momento del parto va fatta la profilassi antibiotica. I livelli di screening, in Area Vasta, sono del 75-80%. Il dato più basso è quello di Cesena, con il 65%. Quello più alto a Forlì: siamo intorno al 89%”. Un bimbo che nasce con un’infezione da streptococco ha un rischio di mortalità del 40%”.
Quanti casi registrate di infezione da streptococco?
“In tre anni, tra il 2010 e il 2012, abbiamo registrato dieci infezioni precoci e dieci tardive. Non va dimenticata, poi, la sifilide, un problema assolutamente presente. L’anno scorso abbiamo avuto 52 casi. Riguarda in prevalenza le donne immigrate”.
Insomma, il quadro non è dei più entusiasmanti…
“Almeno in Emilia-Romagna conosciamo la situazione. Molte regioni non hanno dati. Più conosciamo le cose, più abbiamo la possibilità di intervenire”.
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