Sono circa quindici anni che quando i genitori presentano a Massimo Silvano Galli una difficoltà dei figli, lui chiede dove è solito dormire il bambino di notte. Perché tra la promozione del co-sleeping prolungato e l’idea che il bimbo debba stare nella sua stanza dal primo giorno di vita e lasciato piangere, c’è secondo il pedagogista e mediatiore familiare una sana via di mezzo. Che “salva” bambino e genitori da future e più o meno disastrose conseguenze.
“Le neuroscienze – spiega il pedagogista, che esercita a Milano – ci confermano che fino ai due anni sia una cosa positiva fare dormire il bambino nel lettone o comunque nella stanza dei genitori. Ma la ‘moda’ del co-sleeping che si protrae negli anni non ha alcun senso. In certe culture, come l’asiatica e l’africana, per ragioni di spazi ristretti i bambini dormono con i genitori. Ma la mattina, magari, sono costretti a fare un chilometro a piedi per prendere l’acqua o a occuparsi dei fratellini più piccoli: insomma, a una dimensione di grande protezione si alternano situazioni di estrema spinta all’autonomia. In Occidente, invece, il bambino è iperprotetto sempre. Non solo: in quei sistemi culturali è ammesso che i genitori abbiano rapporti sessuali mentre il piccolo dorme affianco. Cosa inaccettabile per noi. Ecco perché è importante calare ogni abitudine nel suo contesto di appartenenza, senza cercare di applicare modelli altri”.
Galli parla, senza mezze misure, di “invasione del talamo nuziale” riferendosi al bambino vittima di una vera “sindrome del principino” che lo fa mettere sempre il centro, senza troppe domande sull’esclusione, per esempio, del papà: “Quando il bimbo entra nel lettone e il padre, per ragioni di spazio, esce per andare a dormire nella stanza del figlio, magari su un letto troppo piccolo, le conseguenze simboliche ci sono eccome. Quando quel bambino, la mattina dopo, vedrà il padre in quella situazione, difficilmente riuscirà a conferirgli l’autorevolezza che invece, essendo una figura normante, dovrebbe ricoprire. Non a caso, tra le conseguenze di un co-sleeping eccessivo, vedo sempre più spesso la difficoltà dei bambini a integrare le regole”.
Non solo. Tra gli effetti, Galli nota anche problemi nella gestione delle autonomie e il perdurare di paure di vario tipo: “Non sono effetti automatici ma statisticamente, come stiamo anche cercando di studiare e dimostrare, queste conseguenze ci sono. Senza contare che, in adolescenza e nella vita adulta, il rapporto esclusivo con la madre può avere ricadute negative sulla relazione con il partner e sulla vita sessuale“. Questo per dire che, dopo i due anni, il distacco va favorito per il bene di tutti: “Purtroppo vedo una grande paura e fatica nell’affrontare il sacrificio. Portarsi il bimbo nel lettone quando piange o chiama la mamma è più semplice che lavorare sulla sua autonomia. Problema che, bisogna dirlo, va a braccetto con una mancata distribuzione dei carichi all’interno della coppia, con una mancata educazione del bambino a una reale bigenitorialità. Ma la fatica che magari non si fa all’inizio per fare in modo che i figli si stacchino, la si farà più tardi nel gestirne gli esiti”.
Anche sulla vita della coppia, ovviamente: “Il passaggio dalla diade alla triade provoca già di per sé dei grandi scombussolamenti. Non a caso molte delle separazioni avvengono a causa delle conseguenze della nascita di un figlio. Ma se il bambino viene ‘usato’ anche per il proprio soddisfacimento, se il lettone va a sostituire persino tutta la ritualità legata all’accompagnamento al sonno, se i figli vengono messi nel lettone anche per difendersi dalla possibilità di una relazione sessuale perché la madre è appagata dalla presenza del piccolo, i disastri sono dietro l’angolo”.
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