Andrea Carboni è un chirurgo plastico di Ravenna. Dal 2017 segue Gessica Notaro e i suoi interventi di ricostruzione. L’amicizia con la donna, aggredita con l’acido dall’ex, si è sommata all’esperienza dolorosa del Covid: due fatti che gli hanno indicato la via del cambiamento.

«…è la persona che mi ha ricostruito la faccia e che oggi è il mio migliore amico. É il medico che chiunque vorrebbe incontrare, non solo perché sembra uscito da “Grey’s Anatomy”, non solo perché è di una simpatia incredibile, ma perché è in grado di capire chi ha davanti e di plasmare la medicina a misura di paziente – una rarità in un mondo in cui, per carenza di personale e di tempo, il paziente è spesso considerato una cartella clinica con le gambe».

Siamo a pagina 177 del libro “Nata sotto una buona stella” pubblicato, per Mondadori, da Gessica Notaro, sfregiata al volto, con l’acido, dall’ex fidanzato nel 2017. Il dottore di cui parla la donna è Andrea Carboni, che nella vita fa il chirurgo plastico ricostruttivo a Ravenna e che oggi, dopo un intervento al cuore subito sette anni fa, la vicenda di Gessica e il Covid, che lo ha tenuto lontano da casa oltre quaranta giorni, è del tutto un uomo nuovo: «Ho sempre lavorato in ospedale – racconta -, la mia esperienza nasce al Centro ustioni di Cesena. A un certo punto, ho iniziato con la libera professione, concentrandomi sulla parte estetica e tralasciando spesso quella emozionale, che ha a che fare con il motivo per cui quel paziente è lì con una specifica richiesta».

Quando, dopo un periodo di forte stress, Carboni finisce in sala operatoria per subire un intervento al cuore e attraversa anche un infarto, si mette per la prima volta dall’altra parte: «Ho capito la solitudine dei pazienti, il loro essere guardati come fossero una mera cartella clinica. E ho iniziato a farmi molte domande, anche perché ho visto la morte in faccia».

Il percorso personale di Carboni arriva a un vero punto di svolta quando entra nella stanza d’ospedale dove è ricoverata Gessica Notaro, il giorno dopo l’aggressione: «Lei era tutta bendata, non vedeva niente. Ho immaginato che fosse smarrita e spaventata. Per stemperare la paura, mi sono messo a nudo, mostrandomi la persona che ero, con le mie fragilità. Lei aveva bisogno di un’ancora, di qualcuno che la prendesse per mano. In lei vedevo l’amplificazione del dolore di tutti i pazienti che avevo incontrato fino a quel momento, il bisogno di sentirsi sostenuti, rincuorati, capiti. Tante volte abbiamo pianto insieme, fino che tra noi è nata un’amicizia molto forte. Vivere con lei la sua sofferenza mi ha permesso di capire molte cose, dal valore della salute alla necessità, a volte, di fermarmi per non perdermi lo sguardo di mia moglie Vera e dei nostri bambini, Fabio e Luca». 

Ogni volta che Gessica doveva essere operata, per Carboni l’attenzione era soprattutto nel prepararla all’intervento: «La sua paura era forte, capitava che avesse attacchi di panico. Io le stavo accanto, lei mi chiamava anche la notte quando era in crisi. Dal canto mio, mettere le mani su un volto aggredito mi procurava molta ansia da prestazione, specie perché a Gessica voglio molto bene: le sue ferite non erano solo fisiche, erano soprattutto psicologiche ed emotive e mi invitavano, ogni volta, a ricordarmi da dove veniva quel dolore. Credo che lei mi abbia insegnato molto, alla fine le anime si incontrano».

Ma il cambiamento di Carboni doveva ancora segnare un’altra tappa, quella del Covid. Dopo essersi messo a disposizione per la gestione della pandemia ed essere inserito nello staff del quinto piano del «Santa Maria delle Croci», Carboni il 17 aprile 2020 risulta positivo al tampone: «Il giorno dopo sono stato trasferito al Covid hotel di Lido Adriano, per poi essere ricoverato nel reparto dove fino a poco tempo prima avevo prestato servizio. Dopo altri diciassette giorni al Covid hotel, sono stato ricoverato una seconda volta. Ho ancora in mente gli occhi dei miei figli il giorno in cui l’ambulanza mi è venuta a prendere a casa, quella domanda “babbo, morirai?”. Ho avuto davvero paura di morire, in certi momenti, oltre a quella che la mia famiglia dovesse arrangiarsi in caso di contagio. In quelle lunghe giornate, a cui ha fatto seguito un mese a casa a gestire gli strascichi dell’infezione, ho capito un’altra volta di volermi dedicare sempre di più alla storia e alle emozioni delle persone».

Oggi Carboni si occupa di trami e tumori cutanei, oltre che dell’ambulatorio delle ferite difficili: «Nella mia attività di libero professionista, invece, capita spesso di far desistere i pazienti rispetto a una richiesta, perché dietro scorgo vissuti di insoddisfazione, mancata autostima, umiliazione che credo debbano essere trattati dagli psicologi, più che dai chirurghi plastici. Voglio occuparmi di estetica pura solo se c’è una reale esigenza o se, comunque, un certo intervento va a migliorare la serenità interiore. Voglio ascoltare sempre di più i pazienti. La vita, in questi anni, mi ha lanciato dei segnali per andare in quella direzione. Ho solamente scelto di coglierli».