Due donne, l’abbandono, il riprendersi se stesse: “Alla fine la vita rompe gli argini”

Due donne si incontrano, si conoscono, iniziano a rispecchiarsi una nell’esperienza dell’altra. Una è psicologa e psicoterapeuta ma insieme, le due, fanno un percorso che esce dalla relazione terapeutica per diventare, invece, un viaggio di amicizia, scambio e infine scrittura. Il tema è l’abbandono, quel momento repentino in cui l’uomo di una vita dice basta alla sua donna.

Edda Plazzi

Edda Plazzi, che svolge attività clinica da oltre trent’anni, insieme a Livia Bosco ha raccontato il vissuto autobiografico di quest’ultima nel libro “Attraversare l’abbandono. Vivere e trasformare la sofferenza d’amore” (Società editrice «Il Ponte Vecchio»). All’inizio c’è una Livia ferita, lacerata, traumatizzata. Alla fine c’è una donna che si riappropria di se stessa, che trova la forza di alzare la testa e la voglia di riprendersi la vita: “Se parto dalla fine della storia – spiega Edda Plazzi – vedo una Livia nella quale è cambiato qualcosa di molto sottile e interiore, una donna che ha capito come l’interruzione dei legami porti sofferenza anche quando ci si ritiene indipendenti dal maschile, autonome. Una donna che per valori, interessi e passioni potrebbe sembrare la stessa di prima ma che, in realtà, ha un atteggiamento più aperto a meno dogmatico rispetto al ritenersi al sicuro dalle sofferenze di natura amorosa”.

Al pari della protagonista del libro di Elena Ferrante “I giorni dell’abbandono”, più volte citato dentro il saggio-romanzo delle due donne, Livia subisce l’addio del marito come se, prima, non avesse letto o non avesse voluto leggere dei segnali: “In passato era già stata tradita ma aveva pensato a un episodio unico, a una sbandata. Solo più tardi, ha capito che la modalità del marito era seriale, cosa che ha cominciato a farglielo vedere sotto una luce diversa, a non riconoscerlo”.

Anche Edda, anni prima, aveva subito un abbandono che l’aveva molto segnata: “Riconoscendomi in Livia e nella sua sua storia, sono riuscita a condividere molto. Non solo: ripercorrere insieme a lei sensazioni che avevo provato è stato catartico, liberatorio. Anche se, in terapia, con alcune pazienti, mi era già capitato di affrontare quel tema, mai come con Livia sono riuscita a riattraversare quel vecchio dolore fino in fondo. Alla fine, il pezzo di strada che abbiamo fatto insieme ha portato a un coinvolgimento riparativo rispetto alla sofferenza”.

E se tra le prime canzoni citate nel libro c’è “Perdere l’amore” di Massimo Ranieri, che è anche la più sentita da Livia, per Edda quella più importante è “Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi” di Lucio Battisti: “Mi sembra l’emblema di quando l’amore, in una forma nuova, torna a travolgerci. Di quando la vita, alla fine, fa da sé e rompe gli argini”.

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