Un risarcimento record. Tre milioni di euro a carico dell’Ausl Romagna. Soldi di cui i genitori, per loro stessa ammissione, avrebbero fatto volentieri a meno ma che rappresentano una punizione esemplare di un caso di malasanità. La vicenda, come riporta l’edizione locale del quotidiano il Resto del Carlino, si riferisce al 2009 quando all’ospedale Infermi venne alla luce un neonato cerebroleso per ritardi nell’induzione del parto. Al momento del ricovero nella struttura, la madre era a 39 settimane e 4 giorni di gravidanza. I giudici hanno accertato che il personale sanitario dell’ospedale attese 31 ore prima di stimolare il travaglio.

Troppo: la perizia ha stabilito che cinque ore in meno avrebbero evitato il disastro. Le conseguenze della colpa medica sono state così gravi che il piccolo, figlio di una coppia di Pesaro di (allora) 35 e 28 anni, è invalido al 100% ed ha bisogno di assistenza 24 ore su 24 per quella che tecnicamente si chiama encefalopatia ipossico ischemica, patologia che rappresenta una delle maggiori cause di morte neonatale e disabilità neurologica nel bambino. In pratica, per una qualsiasi causa, l’ossigeno smette di arrivare al cervello del bambino.

L’incidenza stimata è di circa 1-2/1000 nati a termine e fino al 60% nei neonati prematuri di peso inferiore a 1500 grammi. Durante la gravidanza può essere provocata da preeclampsia, diabete materno, infezioni fetali congenite, anemia fetale severa. Durante il travaglio e il parto invece le cause della encefalopatia ipossico ischemica possono essere le seguentiocclusione, torsione o prolasso del cordone ombelicale, rottura della placenta o dell’utero, eccessivo sanguinamento dalla placenta, posizioni fetali anomale (come il parto podalico), travaglio prolungato, grave ipotensione materna, parto prematuro, gravi infezioni fetali. Il risarcimento è stato deciso nei giorni scorsi da una sentenza del tribunale civile di Rimini. La coppia è stata tutelata dall’avvocato Bruno Barbieri.