17enne ucciso: un anno all’investitore

Il presupposto della leggerezza della pena è che, assieme ad altri aspetti squisitamente tecnici, il colpevole ha risarcito il danno. E, in questo senso, è una pronuncia classista: se chi ha investito e ucciso il 17enne Federico Albertin a Cologna (in provincia di Ferrara) il 6 febbraio 2017 non avesse avuto una qualche disponibilità economica immediata, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. E se anche non si fosse scelto un buon avvocato: ad essere precisi, all’uomo che con l’auto non dette la precedenza alla moto guidata dal giovane, tecnicamente non è stata inflitta una pena ma si è trattato di un patteggiamento. Un anno. Con pena sospesa e riconoscimento delle attenuanti generiche. E’ andata alla grande, insomma, per l’automobilista al quale è stata riconosciuta la totale responsabilità dell’incidente: Albertin, che stava tornando a casa a Copparo, fece di tutto per evitare l’impatto. L’auto tagliò la strada al centauro: le perizie hanno accertato che non vi fu concorso di colpa.

L’ennesima pronuncia che non tutela pienamente i cosiddetti utenti deboli della strada (pedoni, ciclisti, motoclisti) lascia l’amaro in bocca ai genitori del ragazzo di Ferrara che dalle colonne del Resto del Carlino levano il loro grido di dolore e di protesta: “Una sentenza – spiegano Claudia e Luciano Albertin all’edizione locale del quotidiano bolognese – che uccide nostro figlio una seconda volta” perché l’automobilista, un 65enne al volante di una Volkswagen Touran, “rimane una persona libera, noi siamo costretti all’ergastolo fino all’ultimo dei nostri giorni“. Al termine dell’udienza la madre di Federico ha avuto una reazione nei confronti del 65enne che è stata definita dal legale dell’uomo “fuori luogo” perché “si doveva, e si poteva, evitare”. Infatti tecnicamente i genitori non potevano essere presenti per una serie di cavilli giuridici che chi ha perso un figlio di certo non mette al primo posto nei propri pensieri. 

Il danno e la beffa, dunque: la famiglia è stata pure rimproverata per l’atteggiamento tenuto in tribunale. Insomma, non hanno saputo rimanere al proprio posto. Avrebbero dovuto aspettare a casa, sereni e fiduciosi nella giustizia e, diamine!, tenere un atteggiamento più consono. Par di capire che il decoro e la dignità del Foro e dei professionisti potrebbero essere lesi da scene come queste e che questa sia la preoccupazione maggiore. Un ragionamento pienamente in linea con un ordinamento che riesce a punire più duramente un ladro di un omicida: quando la vita umana vale meno delle cose, della ‘roba’, è naturale che come conseguenza ci si preoccupi più delle forme, dell’educazione, delle questioni di stile. 

Non solo: il responsabile dell’incidente, come ha specificato la madre stessa di Federico, non hai mai provato a mettersi in contatto con loro, non un messaggio di scuse, non un segno, almeno apparente, di rimorso o di pentimento. “Prima dell’udienza non sapevamo neanche che faccia avesse”, hanno detto i genitori. L’uomo, semplicemente, ha aperto il portafoglio e ha pagato, come se avesse dovuto saldare una fattura. Gli avvocati, il pm, il giudice, i codici hanno fatto il resto. Qualcosa che dovrebbe chiamarsi giustizia. Dovrebbe.

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