La felicità è un figlio? Un figlio è la felicità? Se lo chiede Deborah Dirani, giornalista ravennate, in un articolo scritto per il sito de “Il Sole 24 Ore” (qui la versione integrale) in cui, partendo dalla propria esperienza di “non mamma”, analizza uno dei grandi tabù all’italiana.
“Cosa succede quando ti dicono che non hai più tempo? Quando ti dicono che il tuo desiderio di diventare mamma, di mettere al mondo una nuova parte di te (magari migliore) sta avvizzendo più o meno assieme alle tue ovaie? Succede che, a occhi chiusi e col respiro tranquillo, ripensi agli anni in cui avresti potuto ma non lo hai voluto. Ripensi agli anni in cui c’erano altre priorità: non ultima (anzi proprio prima) con chi farlo questo figlio? Ripensi a quando correvi senza pensare che ogni corsa è un secondo in meno verso il traguardo: sia esso un figlio, o una famiglia o, molto naturalmente e banalmente, quei six feet under che attendono tutti con pacata democrazia”.
Ma la felicità, probabilmente, non dipende da un bambino: “Non da un ovaio scioperato, non da un figlio mai arrivato, non da un lavoro che non è quello voluto, non da un uomo che manca o che non assomiglia a quello dei sogni. La felicità è una questione di volontà, di voler essere felici intendo. Felici al di là degli obiettivi centrati o cannati in pieno. Degli amori persi per strada e delle occasioni sfiorate. La felicità è questione di infilare sorrisi ostinati e sostituirli con determinazione a rimpianti e rimorsi. La felicità è indicativo presente intervallato da futuro prossimo, non anteriore, non lontano ma vicino. È dimenticare i congiuntivi e i condizionali di quel che è stato e non si può cambiare neanche urlando di rabbia e piangendo di frustrazione. La felicità è gratitudine per quello che, anche se lontano milioni di anni luce da ciò che avevamo sognato, abbiamo qui e ora. Anche l’ipotesi di un figlio che non arriverà, nonostante ormoni siringati nella pancia e aghi infilati nelle ovaie”.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta