Sant’Orsola, la scuola è in ospedale. Le insegnanti: “Non cambieremmo mai”

Simona Xotta
Simona Xotta
La scuola in ospedale è una scuola a tutti gli effetti: le superiori fanno capo all’Istituto Scappi di Castel San Pietro mentre la scuola dell’infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado all’Istituto comprensivo 6 di Bologna

“Ogni mattina, quando entro qui, indosso il camice: quella è la mia corazza. Per scaricare nuotavo, ora cammino. L’importante è arrivare con il sorriso”. Simona Xotta insegna da 12 anni ai bambini della primaria ricoverati al Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, che da decenni ospita una scuola che copre dalla materna fino alle superiori, a servizio di vari reparti: dall’oncoematologia pediatrica alla chirurgia, dalla neuropsichiatria infantile alla pediatria d’urgenza. Simona ha scelto deliberatamente di insegnare tra letti di degenza e macchinari dopo aver sentito il racconto di una maestra che aveva fatto una supplenza dentro l’ospedale: “Dopo qualche mese di messa alla prova, ho capito che volevo stare qui. Perché esistono soddisfazioni che vanno ben oltre l’avere terminato il programma. Perché è bello mirare l’intervento, personalizzarlo, entrare in contatto con le famiglie e sentirsi loro alleate non solo nel percorso che riguarda la malattia ma anche nella possibilità, per i figli, di continuare a studiare e a sentirsi, quindi, come gli altri. Quando esco dopo una mattinata di lavoro, ho sempre la sensazione di essere stata utile“.

Loredana Carilli, referente per le medie

Umanità e intensità sono anche per Loredana Carilli, che insegna Lettere ai ragazzi delle medie, il lato più esaltante di fare scuola dentro un ospedale: “Di dolore ne vediamo tanto. Ma ci sarebbe comunque, anche se noi non ci fossimo. Tanto vale guardarlo in faccia e aiutare i pazienti a mantenere un contatto con il fuori, a non abbandonare la motivazione di andare avanti con lo studio. Questa è una scuola a tutti gli effetti: ci sono le interrogazioni, le verifiche, gli scrutini. Siamo in contatto con gli insegnanti delle scuole di provenienza dei pazienti, ai quali alla fine facciamo un resoconto delle ore e delle attività svolte. Lavorare qui, per me, è un privilegio. Ci sono finita per caso, con tutte le titubanze e le paure che si possono immaginare. Scoprendo poi la meraviglia”.

Maria Cataldi fa lezione in Neuropsichiatria infantile

Non cambierebbe per nessun motivo al mondo nemmeno Paola Miccoli, unica insegnante della scuola dell’infanzia da ventiquattro anni: “Fare scuola qui significa diversificare i progetti in base all’età del bambino, alla sua patologia, alla sua risposta all’ospedalizzazione, ai tempi di ricovero. Abbiamo pazienti con degenze molto lunghe: loro hanno la priorità. Ma cerchiamo di esserci per tutti. Quando ci sono malattie gravi, i bimbi rischiano di perdersi interi anni della scuola dell’infanzia, se non tutta. E rischiano di arrivare alla primaria disorientati e svantaggiati”. Nei reparti, invece, oltre a compensare quello che i piccoli perdono fuori, l’insegnante diventa un interlocutore privilegiato della famiglia: “Il nostro ruolo è essere utili, non sostituirci agli operatori, accogliere, non invadere. Siamo la presenza tranquillizzante, sia per i bambini che per i genitori. Siamo qui a fare sentire pensata ogni famiglia, a farci attraversare dalla sofferenza senza trattenerla”.

Genny, mamma di Giacomo, che frequenta la lezioni mentre fa la chemio

E lo conferma Genny, molisana. A suo figlio Giacomo, dieci anni, quando andava ancora al nido è stato diagnosticato un neuroblastoma che per metà della sua vita fin qui lo ha poi lasciato in pace. Fino alla recidiva del 2015: “Quando mio figlio era piccolissimo, è stato ricoverato al Sant’Orsola per sette mesi. Oggi torniamo qui ogni due settimane per la chemioterapia. E Giacomo, tranne rari casi, non perde tempo: ci portiamo dietro i quaderni e le indicazioni della maestra della sua scuola. E grazie alle insegnanti dell’ospedale resta in pari con il programma: è un modo non solo per dare importanza allo studio ma per fargli sentire il contatto con la realtà, con il mondo di fuori, con i suoi compagni”.

Doriana Pipi

E a seguire Riccardo, questa mattina, c’è Doriana Pipi, che quattro anni fa, dopo avere fatto le esperienze più disparate all’interno della scuola, ha scelto l’ospedale: “Ero quasi a fine carriera, avevo bisogno di una motivazione forte e l’ho trovata qui. Il carico emotivo c’è eccome. Ma dopo essermi fatta un bagaglio solido e svariato, mi sono sentita pronta. Qui bisogna mostrare serenità, tranquillità, essere all’altezza nel riuscire a fare scuola rispettando la sofferenza del bambino che hai davanti e il momento che lui e la sua famiglia stanno vivendo. Ma non mi è mai capitato di pensare che, davanti a un paziente oncologico, spiegare un argomento fosse superfluo: la scuola è la traccia di un passaggio importantissimo“. E tra le competenze personali da mettere in campo, c’è senz’altro la flessibilità: “Dobbiamo essere pronti a giornate sempre diverse, bambini che vanno e che vengono, programmi di ogni tipo nei quali inserirci”.

Antonella Paglialonga nella biblioteca della Pediatria d’Urgenza, che funge anche da scuola

Tra le ultime arrivate c’è invece Antonella Paglialonga, che racconta come i bambini della primaria siano spesso i più motivati: “Al contrario dei ragazzi delle medie, che vanno un po’ convinti, i più piccoli chiedono di andare avanti, imparare, anche se restano ricoverati solo per qualche giorno”. Tutt’altra situazione in altri reparti, come nella Neuropsichiatria che ospita i ragazzi e le ragazze con disturbi del comportamento alimentare: “Qui abbiamo degenze anche di sei mesi o un anno – spiega Alessandra Rueca, che insegna matematica ed è referente per le superiori -. E capita anche di preparare gli alunni all’esame di Stato. Facciamo capo all’Istituto Scappi di Castel San Pietro Terme e abbiamo di ruolo, oltre a me, i professori di scienze, storia, italiano, francese e inglese. Per tutto quello che manca – dallo spagnolo alla meccanica – chiamiamo insegnanti che svolgo ore aggiuntive. Avevo una grandissima paura prima di insegnare in ospedale, dove sono stata mandata come supplente nel 2001 e dove ho scelto di restare dal 2006. Ma posso confermare che è un’esperienza magnifica”. Così come per Maria Chiara Tirelli, maestra della primaria al primo anno qui dentro: “Dopo essere stata molti anni all’estero, sentivo il bisogno di rigenerarmi. Sono meravigliata dall’energia dei bambini. Sono loro a chiederci la scuola, vogliono continuare a essere alunni anche in ospedale”.

Alessandra Rueca, prof di matematica alle superiori

Vale anche per Nicole, dieci anni e i capelli rasati, che oggi studia le percentuali: “Io a scuola non ci posso andare. Quando sono ricoverata studio qui dentro, sennò a casa con la mamma. Mi fa lezione in pigiama, sai?”.

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