Livia Santini, poetessa ravennate, qualche anno fa ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “Bambinitudine”, intendendo la capacità di restare sempre un po’ bambini. La rivista Medico e Bambino, invece, lancia la parola bambinità: “Una parola che non c’è nel vocabolario. Eppure ognuno di noi, ognuno a suo modo attribuisce alla bambinità, oltre che un significato, anche un valore: prezioso, quasi sacrale. Bambinità, senza essere nel vocabolario, è per molti sinonimo di dolcezza, ingenuità, innocenza. Deprivata della bambinità, l’umanità perde se stessa. Perde un valore condiviso che rende per tutti la vita desiderabile, irrinunciabile e quindi sacra”.
Da queste premesse, riportate in un articolo pubblicato nel 2016, la rivista e molti pediatri italiani si sono rivolti all’Accademia della Crusca per richiedere che la parola “Bambinità” trovasse maggiore spazio nei dizionari della lingua italiana: “Ci pareva importante che la parola bambinità fosse presente nel vocabolario per aiutarci a ricordare, oggi più che mai, che quando si parla di bambinità si parla di un diritto inviolabile dell’uomo, diritto che tutti dovremmo impegnarci a rispettare e preservare, tanto più facendo i pediatri. L’Accademia della Crusca ci ha preso sul serio e attraverso la dottoressa Maria Cristina Torchia (linguista consulente dell’Accademia) nell’articolo pubblicato sul numero di settembre ci offre un approfondimento (accademico ma allo stesso tempo vivo, dinamico e coinvolgente) sul significato, l’utilizzo e lo spazio che la parola bambinità ha fino a ora avuto nella lingua italiana e non solo. Tanto che ora sappiamo che esiste anche un modo di dire inglese della bambinità (childlikeness). Torchia ci ricorda che è l’uso corrente, più che la presenza nel dizionario, che legittima l’esistenza di una parola e ne indica il significato. Diamoci sotto, quindi. E non dimentichiamoci della bambinità nelle parole e nei fatti”.
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