Ravenna, il nonno in windsurf dedica un libro alla nipote: “Quando eravamo più felici”

A quasi 77 anni, Alberto Lama non ha ancora smesso di fare windsurf. Da quando è nonno di Valentina, undici, è diventato anche il suo insegnante, al bagno Baloo Beach di Punta Marina (Ravenna), dove questa sera alle 18 si toglierà una bella soddisfazione: presentare il suo libro “Il nonno sulla credenza” (Sogni d’Autore) dove ha raccolto la sua vita, restituendo di fatto una testimonianza storica di come era crescere negli anni Quaranta e Cinquanta. Un racconto dedicato e rivolto alla nipote, alla quale ha chiesto – dopo la lettura – che cosa l’avesse colpita di più: “Tutto, nonno”, le ha risposto lei. Perché giocare in dieci fratelli con una bicicletta più volte rotta e aggiustata, intingere il pane tutti nello stesso sugo, vivere i bombardamenti e la miseria a qualcosa serve: “A essere più felici, a godersi le cose, a vivere i rapporti con più intensità, a rimanere umani”.

Ad Alberto, papà di Cristina, non a caso i giovani di oggi mettono un po’ di tristezza: “Ho sempre l’impressione che non apprezzino ciò che hanno, che vivano attraverso i telefonini, che non parlino. Questo vorrei trasmettere a Valentina e a chi mi leggerà: che noi abbiamo davvero vissuto brutti tempi, che ci siamo sacrificati. Ma il sorriso non ci mancava mai. Un po’ come quando alla tv passano le immagini dei bambini africani: non hanno nulla ma trasmettono allegria. Ho nostalgia di questo: di come erano i rapporti tra le persone”.

Romagnolo di Brisighella, nel suo libro Lama fa anche un omaggio alla sua terra, dalla quale per tre anni – per motivi di lavoro – rimase lontano insieme alla moglie Loredana: “Poi il medico, dopo avermi chiesto quante sigarette fumavo al giorno – io che non avevo mai fumato – mi consigliò di tornare a casa. A Milano le mie condizioni di salute erano peggiorate, viverci era terribile. Senza contare che mi mancavano la campagna, il mare e che ero troppo abituato all’aria di Mandriole per non sentirne la mancanza“.

A Lama piacerebbe che così come ha fatto lui, anche altri della sua generazione provassero a scrivere, buttando giù i ricordi: “Non è sempre facile, per carità. Mio fratello maggiore, quando lo spronai a farlo, mi disse che al solo pensiero di ricordare la guerra, gli veniva il terrore che lo stessero venendo a prendere. Ci sono ferite grandi, nelle storie delle persone che oggi hanno la mia età. Riviverle deve essere qualcosa di spontaneo, non di forzato. Io, mentre lo facevo, mi sono sentito come sotto dettatura, con una voce affianco che ripercorreva, narrandomela, la mia vita”.

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