Il sociologo a Forlì: “Adulti, dei giovani non sapete quasi nulla”

A indagare chi siano i giovani d’oggi, il sociologo Stefano Laffi è ben che abituato. Ma questa volta, invece di realizzare la solita ricerca a suon di questionari, ha deciso di far parlare i giovani. L’input, scaturito nel libro “Quello che dovete sapere di me” (Feltrinelli) di cui parlerà domani alle 17,30 nella Saletta della Banca di Forlì (via Bruni 2), ospite di Officine Perdigiorno, gli è arrivato dall’Agesci (Associazione guide e scouts cattolici italiani) che in occasione di un raduno di 30mila giovani tra i 16 e i 20 anni, ha chiesto alla sua cooperativa di ricerca, Codici, di capire di più dei ragazzi.

“L’input che abbiamo dato ai giovani, invitandoli a scrivere una lettera anonima che raccontasse di sé, è stato quello del titolo del libro. Ne abbiamo raccolte quasi mille, scegliendone poi 120 da pubblicare. Il primo aspetto che è saltato all’occhio, di certo inaspettato, è che quando si narrano, i giovani non parlano dei temi che invece trattano gli adulti quando parlano di loro, come per esempio il cyberbullismo. Il problema principale dei ragazzi è infatti il futuro, diversamente da quanto succedeva fino a trenta o quarant’anni fa, quando il domani era certo, scontato o comunque aggredito con tutte le proprie velleità giovanili”.

Oggi, invece, chi ha intorno ai diciassette anni si chiede più spesso se stia perdendo tempo, se siano giuste le scelte che sta facendo, se sia meglio restare o partire, lavorare o studiare: “Tutti i grandi, non solo i genitori, non colgono invece il tema preponderante dell’agenda dei ragazzi, forse perché essi stessi non detengono un’esperienza che faccia da guida in tal senso“.

Alla precarietà fa però da contraltare (“e qui la provenienza cattolica pesa di certo”) la voglia di lasciare un segno, una traccia, di collaborare e contribuire: “Non a caso i mestieri più ambiti sono il medico di guerra, l’infermiere, l’insegnante, il magistrato. Al contempo, in molte lettere prevalgono gli elenchi e le liste rispetto ai propri gusti e alle proprie appartenenze. Quando io avevo la loro età ci si definiva per categorie: sono di destra o di sinistra, mi piace questo o mi piace quello. Oggi no: i ragazzi si associano a più passioni e più esperienze in contemporanea, perché non schierarsi è forse l’unico modo per stare dentro un presente così incerto“.

A fare uscire, dei ragazzi, un’immagine positiva, è comunque e sempre la dimensione del sogno, del desiderio: “Un tempo contava quello che facevi, oggi quello che vorresti essere, che hai in testa, che ti appassiona. Questo, da un lato, rispecchia la grande esposizione soggettiva che i giovani vivono sui social. Ma dall’altro lato è un grande esercizio di intelligenza: se, a 17 anni, identifichi chi sei con le tue ambizioni, significa che hai un alto livello di consapevolezza. In fin dei conti, le abilità e le competenze si possono acquisire anche più avanti. Quello che siamo, invece, nella tarda adolescenza è già ben definito: saperlo riconoscere è un buon segno”.

Tra le lettere, anche diversi racconti struggenti e dolorosi: “C’è chi non crede in Dio nonostante sia uno Scout, chi ha usato la scrittura per rivelare la propria omosessualità mai dichiarata prima. Insomma, questioni forti. Che hanno affrontato, nel 70% dei casi, le ragazze”.

Qui l’intervista a Laffi su “Crescere nonostante”

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