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Da sinistra Jonathan, Stefano e Michael Bagli

“Quando ti dicono che è una malattia irriversibile, per la vita, la rabbia ti assale e oscilli tra il rifiuto e il senso di colpa, per poi scoprire che non hai alcuna responsabilità e che devi solo combattere per conviverci”. Stefano Bagli, riminese, è il papà di Micheal, 22 anni, e di Jonathan, 17, diabetico dal 2010. La loro testimonianza arriva nei giorni della Diabetes Marathon, la grande manifestazione organizzata dall’associazione Diabete Romagna, di cui la famiglia è socia, perché “confrontarsi con le storie degli altri è fondamentale per andare avanti”.

Jonathan, che studia all’istituto alberghiero, sette anni fa era alle medie quando, per una settimana, stette male prevalentemente di stomaco: “In quei giorni – racconta il papà – beveva molto, cosa che tra l’altro faceva già da un po’, oltre a urinare spesso. Finché il 27 novembre, una data che non potremmo mai dimenticare, una mattina non si alzò dal letto. Portato d’urgenza all’ospedale di Rimini per quella che inizialmente era sembrata un’appendicite, è risultato dopo poche ore con una glicemia alle stelle, che ci ha trascinati in un mondo che non conoscevamo, quello dell’insulina”.

Oggi Jonathan, che non usa il microinfusore sperimentato durante i camp estivi per i bambini e i ragazzi diabetici, si affida a un sensore grande quanto una moneta da due euro, che messo vicino allo smartphone rileva la glicemia senza bisogno di forarsi: “Mio figlio se la misura prima e dopo i pasti. Da tre mesi, la nostra vita grazie a questo nuovo strumento è molto migliorata. Intanto in questi anni, a casa, siamo diventati un po’ degli esperti alimentari, sempre alle prese con le tabelle nutrizionali e il calcolo dei carboidrati, che però permettono a Joanathan di mangiare praticamente tutto”.

Il cambiamento più forte, per la famiglia, si è verificato nei primi tempi dopo la diagnosi, quando Stefano e la moglie Laura tendevano a tenere il figlio sotto una campana di vetro: “All’inizio viene naturale, sei sempre in tensione per paura delle crisi e non molli mai la presa. Un errore grande che però bisogna perdonarsi. Con il tempo si impara a rilassarsi. Jonathan ancora oggi mi telefona prima di mangiare, anche se per i medici a breve dovrebbe cominciare a gestirsi da solo”. E tra un allenamento di nuoto e una lezione a scuola, il rifiuto della malattia che spesso viene riscontrato durante l’adolescenza, soprattutto per le ragazze, per Jonathan non c’è stato. Al pari di Dennis, un altro ragazzino di Rimini la cui storia ci è stata raccontata dalla mamma, Sabrina, qualche giorno fa.

Il tasto dolente, però, c’è e riguarda il fatto che Jonathan, dopo i 18 anni, passerà dalla Pediatria all’Endocrinologia: “Sarà un percorso accompagnato – spiega Stefano – ma siamo lo stesso in ansia. Mio figlio non sarà più Jonny ma un numero come un altro, sperando che i contraccolpi su di lui non siano troppo pesanti”. A scuola, invece, l’esperienza è stata ed è buona, a parte un episodio alle medie, quando il ragazzo fu mandato in bagno da un professore per andarsi a misurare la glicemia, come fosse un motivo di cui vergognarsi: “Mio figlio non ha problemi nemmeno a farsi l’insulina tra i compagni. Ora le cose vanno decidamente meglio: alle superiori ha trovato professori comprensivi e una bidella che lo tratta come un figlio”.