Otto fogli di quaderno. Questa la lunghezza della lettera scritta il 17 giugno del 2014 dalla 16enne Rosita sull’autobus che la portava da Fratta Terme a Forlì, dove si sarebbe suicidata due ore dopo buttandosi dal tetto del liceo classico.
La lettera, scrive Il Resto del Carlino, è stata letta ieri mattina in aula dal luogotenente Gino Lifrieri, sentito come testimone d’accusa.
Due giorni prima ddi scrivere la lettera, i genitori della ragazza avevano scoperto che lei aveva rubato il cellulare del padre per comunicare via Whatsapp con le amiche. Episodio che, secondo quello che scriverà la ragazza alle compagne, aveva mandato la madre e il padre su tutte le furie: “I miei hanno scoperto il furto… Hanno detto che mi denunciano e mi mandano in una casa-famiglia per punizione… Hanno detto che annulleranno il mio anno di studio in Cina… Domani mi ammazzo…”.
I messaggi disperati mandati dalle amiche per fermare le intenzioni suicide di Rosita non verranno mai letti dalla 16enne: “Sono in autobus – scrive la ragazza due ore prima di suicidarsi – e tra poche ore non vivrò più… Ho paura… Ma non ho più uno scopo... La morte porrà fine a questo dolore… Mi dispiace che non mi abbiate accettata… Mi dispiace… Colpa mia in fondo… Vi ho delusa con il furto?… Non mi pento di nulla… Sì giusto così… Mi avete detto che sono disgustosa e deficiente… e allora merito di morire… Mamma, avrei voluto avere un rapporto vero con te… E anche con mio padre ho sperato fino all’ultimo di avere un rapporto vero… Con mio fratello il rapporto è inesistente… Mi avete fatto male… Morirò senza sapere se mi avete voluto bene…”.
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