
Quello di mio figlio si chiama James. Ed ha pure un cognome: Bartoletti. James Bartoletti. Una via di mezzo fra un boss mafioso italo-americano e uno 007 romagnolo ma più che altro è l’amico del cuore. L’amico più fidato, l’amico immaginario. Uno che si fa vivo sempre quando, guarda caso, siamo a tu per tu, lontano da orecchie e occhi indiscreti, come quelli della sorellina. L’attacco è sempre il solito, così, dal nulla, da un momento di silenzio prolungato: “Lo sai che James…”. E via con le mirabolanti avventure dell’alter ego. Un bambino superdotato: James è un vero dritto perché sa fare un po’ di tutto. Disegna e scrive benissimo; fa ogni tipo di sport con risultati eccellenti; suona una decina di strumenti meglio di Stevie Wonder; alla sua età ha visitato mezzo mondo ed ha dei giochi che i suoi coetanei possono solo immaginarsi. Per non parlare del padre e della madre di James, autentici semidei scesi sulla terra. Dalle attività manuali a quelle più raffinate, dalle qualità morali e affettive alla disponibilità economica: a loro non manca proprio niente. Una famiglia di super eroi. Meglio, molto meglio, degli Invincibili, i personaggi del celebre cartone animato. E chissà di quali altre avventure James si rende protagonista nella mente di mio figlio, chissà quali dialoghi segreti intavolano assieme.
Bisogna preoccuparsi? No, naturalmente. Lo dice il buon senso e lo confermano gli esperti. Avere un amico immaginario è piuttosto frequente nei bambini e non crea particolari traumi, anzi. Lo psicologo e psicoterapeuta fiorentino Giuseppe Sparnacci ha spiegato a Uppa.it (Un pediatra per amico), sito internet del bimestrale per genitori scritto e diffuso dai pediatri, che l’amico immaginario “aiuta il bambino a strutturare la sua realtà interna, i suoi pensieri, le sue fantasie con la successiva appropriazione della realtà esterna. Lo aiuta a elaborare quel complesso e lungo processo di costruzione di un’identità personale e di acquisizione del riconoscimento di una diversità di pensiero e di intenzioni degli altri rispetto al proprio pensiero e alle proprie intenzioni”.
Un amico che aiuta a crescere, insomma, “un paziente ascoltatore sempre interessato a ciò che gli si dice” anche di ciò che ‘i grandi’ non ritengono molto importante. Tra il bambino e l’amico immaginario, che di solito sono dello stesso sesso, si instaura una forte complicità, un dialogo intenso, una condivisione di gioie e dolori. Una persona sempre vicina che non fa sentire solo il bambino. Di più: “Una creazione positiva perché è un aiuto a esternare prima di tutto al bambino stesso emozioni, paure eventuali, preoccupazioni, scoperte, gioie”.
In conclusione, l’esperto avverte: “Il bambino è ben consapevole del gioco tra realtà e finzione di questo suo amico immaginario. Non si tratta di allucinazioni dalle quali il bambino viene ingannato, anzi: il bambino controlla quel limite tra realtà e immaginazione servendosi della figura immaginata, come si seguiterà poi a fare sempre, nell’età adulta, con i nostri dialoghi interiori”.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta