Sta facendo parecchio discutere, a Bologna e non solo, la ricerca condotta dal professore di Economia dell’Alma Mater Andrea Ichino sugli effetti della frequenza al nido d’infanzia in età 0-2, in particolare per le bambine, che svilupperebbero negli anni a venire un quoziente intellettivo più basso rispetto alle loro coetanee che, al nido, non sono andate.
Professore, in generale a quali conclusioni è giunta la sua ricerca rispetto ai vantaggi e agli svantaggi di frequentare il nido da zero a due anni?
“La parte dei risultati che ha suscitato più scalpore è quella che riguarda l’effetto negativo sul quoziente intellettivo dei bambini misurato all’età di 8-14 anni derivante dalla frequenza di un nido a 0-2 anni per i figli di due genitori conviventi ed entrambi occupati. Questo effetto è maggiormente evidente per le bambine provenienti dalle famiglie più benestanti in questa popolazione, mentre non vi sono effetti statisticamente significativi per i bambini di entrambi i sessi provenienti da famiglie meno abbienti. Abbiamo esplorato però anche gli effetti sui tratti della personalità e sui disturbi comportamentali, senza trovare nulla di significativo. Abbiamo invece trovato che l’asilo riduce il rischio di essere sovrappeso tra 8 e 14 anni, in particolare tra i maschi”.
A Bologna il mondo dei pedagogisti e degli addetti ai lavori nei servizi 0-3 si è sollevato: se lo aspettava?
“Si, anche se non ne capisco le ragioni. Come ogni ricerca scientifica, anche la nostra dovrà essere confermata e replicata da studi effettuati su campioni più ampi (il nostro è solo di 444 bambini e bambine). Tuttavia, a differenza della quasi totalità degli studi esistenti in materia, il metodo da noi utilizzato è quasi-sperimentale. Ossia un metodo simile a quello che nelle scienze mediche serve a stimare l’effetto causale di una terapia confrontando un campione di soggetti trattati e un campione identico di controllo. Questo per dire che, come in ogni altro studio quasi-sperimentale, l’effetto che stimiamo può essere interpretato in modi diversi, ma la sua attendibilità in questo campione è difficilmente contestabile. In parole semplici, a differenza di altri ricercatori abbiamo comparato ‘mele trattate’ con ‘mele non trattate’, non mele con aranci’. Più concretamente, il nostro confronto riguarda bambini appena sopra e appena sotto le soglie ISEE di ammissioni agli asili nido di Bologna che, di fatto, separano quasi casualmente soggetti provenienti da famiglie simili i quali però, solo per pochi euro di reddito familiare, hanno frequentato il nido per periodo più o meno lunghi (o ne sono stati esclusi). È ovvio che, tra l’età in cui l’asilo viene frequentato e l’età in cui abbiamo misurato i risultati, i bambini studiati fanno infinite esperienze rilevanti per il loro quoziente intellettivo. Di queste noi identifichiamo quella parte che è influenzata in modo causale dall’essere appena sopra o appena sotto le soglie di reddito ISEE determinanti per la frequentazione del nido. In modo del tutto analogo, la ricerca medica ha dimostrato che il rischio di cancro dipende da infiniti fattori, ma fumare di più o di meno aumenta questo rischio a parità di tutto il resto”.
Che interpretazione date dei vostri risultati, con particolare riferimento alle differenze tra bambini e bambine?
“L’effetto da noi trovato non è un effetto generalizzato. La frequenza del nido in età 0-2 anni ha effetti negativi sul quoziente intellettivo soprattutto per le bambine in famiglie mediamente più benestanti, mentre la riduzione non è significativa per i figli di famiglie dal background economico più svantaggiato e indipendentemente dal sesso del bambino. Una possibile interpretazione è che i bambini che frequentano il nido in giovanissima età beneficiano di minori interazioni 1:1 con gli adulti. Queste interazioni, come dimostra la ricerca psicologica, sono particolarmente rilevanti per lo sviluppo cognitivo nei primi anni di vita. Il rapporto adulto-bambino nei nidi oggetto dello studio è infatti 1:4 all’età di 0 anni e 1:6 all’età di 2 anni. Nelle famiglie non ammesse al nido le forme privilegiate di cura coinvolgono, in ordine di importanza, nonni, genitori o baby-sitter, che implicano un coefficiente adulto-bambino 1:1. Lungo questa linea interpretativa, le interazioni 1:1 con l’adulto sarebbero più importanti per le bambine tra 0 e 2 anni, perché esse, a questo stadio di sviluppo, sono più ‘mature’ dei bambini e quindi più capaci di sfruttare le interazioni 1:1 con gli adulti per il proprio sviluppo cognitivo”.
C’è a suo avviso una sopravvalutazione del nido rispetto agli effetti sul quoziente intellettivo dei bambini e altre competenze, come quella sociale?
“Appena dopo la nascita, la socializzazioni con altri bambini non è molto rilevante per lo sviluppo cognitivo, mentre la relazione con un adulto lo è assai di più. Ogni genitore lo sa bene e lo dicono gli psicologi, per quanto a nostra conoscenza. Con la crescita diventa invece importante anche la socializzazione con altri bambini. Non sappiamo però, con precisione, a quale età interagire con altri bambini diventi rilevante. Il nostro studio segnala solo che quando si afferma che il nido faccia bene perché aiuta il bambino a socializzare, si trascura il fatto che questo potrebbe non essere vero nei primissimi mesi di vita. Detto questo, non c’è dubbio che l’asilo nido sia fondamentale per consentire ai genitori di lavorare dopo la nascita di un figlio. Bologna in questo è all’avanguardia. Il nostro studio è solo un campanello d’allarme che segnala possibili rischi per le bambine attualmente escluse al margine dalle graduatorie. Lungi dal nascondere sotto il tappeto tali rischi, il Comune di Bologna si è dimostrato anche in questo all’avanguardia, consentendo uno studio che, a costo zero per il Comune, offre indicazioni su come migliorare ulteriormente il servizio proprio per quelle famiglie che attualmente premono maggiormente per una sua espansione essendone escluse. Dati i costi, non è detto che per queste famiglie la soluzione ideale per conciliare figli e lavoro sia il nido così come fino ad ora è stato pensato”.
Dai vostri risultati, si aspetta o ritiene auspicabile che i servizi vengano per certi versi rivisti?
“Innanzi tutto è bene sottolineare che il nostro studio non implica che i bambini non dovrebbero andare al nido, né tantomeno che dovrebbero stare a casa con la sola mamma (se mai con un adulto indipendentemente dal suo genere). Il punto per noi fondamentale è suggerire che il nido possa essere migliorato in un modo che coniughi le esigenze lavorative dei genitori con il migliore sviluppo dei loro bambini, per esempio mediante un rapporto numerico tra adulti e bambini che si avvicini maggiormente a quello che troviamo in famiglia, o una maggiore attenzione alle diverse esigenze delle bambine e dei bambini anche durante la prima infanzia. I nostri progetti di ricerca futuri, proprio in collaborazione con il Comune che già si sta muovendo in questo senso, mirano anche ad esplorare modi diversi di organizzare un nido e possibili soluzioni complementari per la cura dei bambini subito dopo la nascita”.
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