Lavori domestici, la scoperta dei prof: “Le donne italiane non li considerano un peso”

figli, stress, mamma, conciliazioneLe donne italiane hanno ancora la maggior parte del carico domestico e familiare sulle spalle. Eppure, molte di loro non se ne lamentano. Questo il risultato a cui sono giunti i sociologi Renzo Carriero e Lorenzo Todesco (quest’ultimo già autore di “Quello che gli uomini non fanno”) durante le ricerche confluite nel libro “Indaffarate e soddisfatte. Donne, uomini e lavoro familiare in Italia” (Carocci) che ha un titolo volutamente provocatorio.
Professori, paura delle critiche?
“No, per mestiere dobbiamo fare astrazione rispetto ai molti casi particolare in cui, senz’altro, l’essere indaffarate delle donne non coincide con il loro essere soddisfatte. In base ai risultati della nostra ricerca, che ha elaborato alcuni dati Istat e prodotto dati sul contesto piemontese, non è vero – come spesso si pensa – che il lavoro domestico e familiare venga considerato, da tutte le donne, così sgradevole e fastidioso”.
Per questo, in sostanza, anche le donne che lavorano fuori casa, magari anche full time, continuano a fare il grosso a casa?
“In parte sì, anche se negli ultimi vent’anni si è verificata una diminuzione del tempo che le donne dedicano al lavoro domestico, in particolare pulire e preparare da mangiare: parliamo di un’ora al giorno in meno. Dall’altra parte, però, l’aumento del tempo che gli uomini dedicano alla stessa attività è stato un quarto d’ora. Il confronto non regge: la strada verso la parità è ancora lunga”.
Nel libro sostenete che il fattore culturale abbia un forte peso: in che senso?
“L’Italia è un paese conservatore rispetto ai ruoli di genere e alle aspettative riposte negli uomini e nelle donne: i lavori domestici fanno ancora parte di un certo modo di intendere l’identità femminile. È uno dei motivi per cui molte donne non sentono così tanto il peso di farsene carico”.
Le mamme meno istruite chiedono soprattutto alle figlie femmine di contribuire in casa. Segnale negativo?
“Sì, perché le donne laureate, che invece nella richiesta di aiuto ai figli non fanno differenze tra bambini e bambine, sono comunque una netta minoranza. E questo gap ci fa pensare che ci vorranno generazioni su generazioni prima che si converga verso una vera parità”.
indL’Emilia-Romagna, in questo senso, a che punto è nella classifica generale?
“L’Emilia-Romagna, insieme al Trentino, è tra le regioni in cui le donne dedicano meno tempo al lavoro domestico. Il contributo degli uomini, invece, non dimostra differenze marcate tra una regione e l’altra”.
Non è vero, a questo punto, che avere un lavoro retribuito e quindi un potere economico serve alle donne a emanciparsi rispetto ai compiti domestici?
“No. Le donne che guadagnano solo un quarto del reddito della coppia fanno i tre quarti del lavoro familiare, quelle che guadagnano il doppio del marito, fanno i due terzi. Le donne italiane non usano il proprio potere reddituale per scaricare sugli uomini i carichi familiari o lo fanno in modo molto contenuto. Un risultato che sorprende molti studiosi”.
Non esiste nemmeno, da parte delle donne più egualitarie, una sorta di potere nel cambiare i comportamenti degli uomini più tradizionalisti?
“No, gli atteggiamenti di genere degli individui hanno un ruolo limitato nel cambiare i comportamenti e quindi la divisione del lavoro familiare: le suddivisioni più egualitarie si verificano dove sia la donna che l’uomo sono egualitari”.
Un’anomalia che stacca di molto l’Italia rispetto al resto del mondo occidentale?
“Moltissimo. Le tre ore e mezzo di lavoro domestico giornaliero delle donne italiane vanno confrontate con le due ore delle americane, l’ora e 45 delle francesi e l’ora e venti delle svedesi. Le uniche che assomigliano alle donne italiane sono le spagnole”.
Tutta colpa della tradizione?
“La tradizione conta, a partire dalla religione, passando per l’importanza della cultura del buon cibo, fino al culto della casa, visto che in Italia la maggior parte delle famiglie ha un’abitazione di proprietà”.
Il 62% delle donne in coppia sono soddisfatte della divisione del lavoro domestico con il proprio partner. Perché un’oggettiva disuguaglianza non va a influenzare insoddisfazione?
“La soddisfazione può essere legata al risultato che si ottiene da una certa divisione del lavoro domestico oppure dalla persona con cui ci si confronta. Ancora, può essere determinata dalle procedure, più o meno consensuali, che hanno portato a una certa suddivisione. Insomma, la classica divisione 50-50 non è per forza l’obiettivo assoluto, per molte donne”.
Insomma, lavori domestici e benessere psichico non sono in una relazione diretta…
“No, emerge in modo inequivocabile che anche le mansioni del lavoro domestico più monotone e ripetitive non incidono sul benessere delle donne, che non vivono lo stress di ruolo che si verifica, invece, quando un’attività è troppo impegnativa in termini di energie spese”.

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