La mamma single, l’assessore, la ballerina. Vivere a Mutonia: “Una scelta di libertà”

La macchina del tempo, una giostra di quelle che non se vedono più, un’installazione di peluche, una scimmia gigante realizzata con ferri vecchi. A pochi metri, lo scorrere del fiume Marecchia, dal quale i ciclisti buttano sempre uno sguardo quassù, come per scovare chissà cosa. Come quando entrano indisturbati i turisti armati di macchina fotografica (del resto si può) e magari te li ritrovi in cucina senza che abbiamo bussato, o ti immortalano mentre sei intenta a tagliarti le unghie dei piedi sulla scaletta d’ingresso di casa.

Come è successo a Pamela Fussi, che da quattro anni vive a Mutonia, oggi parco artistico, l’insediamento che circa 25 anni fa creò, a Santarcangelo di Romagna, la Mutoid Waste Company, invitata al festival teatrale e da allora di stanza nella stessa ex cava del demanio che ancora oggi fa da scenario al singolare villaggio abitativo. Pamela Fussi, nella vita, non fa l’artista: è assessore comunale ai servizi scolastici ed educativi. A Mutonia è venuta a vivere con il figlio oggi 15enne, raggiungendo il compagno, operaio, che già ci abitava fin da quando era bambino: “La mia è stata una scelta di vita che da alcuni può essere considerata forte ma che per me e mio figlio è stata naturale e priva di traumi. Forse poteva sembrare strano, all’inizio, vivere in un’abitazione composta da un pullman, da due box coibentati e da una struttura in legno. Ma oggi è tutto normale”. Pamela, Mutonia, era già prima del trasferimento abituata a frequentarla: “Lavoravo nello staff organizzativo dell’Accademia della follia ma organizzavo anche laboratori qui nella comunità. Ho anche fatto da mediatrice linguistica, visto che qui la maggior parte delle persone, una ventina di adulti più i bambini, sono di lingua inglese. Ho vissuto da vicino sia il periodo dell’ordinanza di demolizione emessa dall’Amministrazione nel 2013, sia il successivo percorso per portare allo stesso tavolo Comune e Mutonia, fino all’esito del riconoscimento, da parte della Soprintendenza di Bologna e Ravenna, di questo posto come bene comune”.

Un risultato possibile anche grazie alla protesta dei santarcangiolesi e a una petizione con migliaia e migliaia di firme per chiedere che Mutonia restasse lì dov’è, nonostante il Tar si fosse pronunciato a favore del un proprietario di un terreno adiacente, che più e più volte aveva denunciato l’irregolarità della presenza del villaggio artistico.

“Vivere qui significa anche non possedere un ferro da stiro, che tra l’altro non avevo nemmeno quando vivevo in una tradizionale casa di campagna – continua Pamela – e significa anche non spingere un bottone quando devi accendere il riscaldamento, ma accatastare e spaccare la legna. Significa che a volte ti piove in casa, significa essere un po’ randagi. Una decisione strana? Vista da fuori può essere, anche se abbiamo il wi-fi, la lavatrice, la tv. E non andiamo a lavare i panni al fiume. Per me è una scelta avanguardistica, in controtendenza, di libertà. Laddove la casa è un diritto, certo, ma non per forza va costruita in mattoni e ti deve fare indebitare per la vita“.

Lo è anche per Silvia Proietti, ballerina acrobata con una storia di vita singolare (Romagna Mamma l’ha intervistata qui), da un anno a Mutonia insieme al fidanzato scultore e tecnico teatrale. La sua casa è un inno alla fantasia: cucina, camera da letto e studio dentro un pullman coibentato usato per una tournée degli Who, bagno dentro un portavalori, camera degli ospiti e stanza per costumi e attrezzi dentro una roulotte. “La differenza rispetto a una casa tradizionale? La dislocazione. Per il resto qui c’è tutto, anche la cuccia per il cane, Brugola. E la possibilità di condividere con gli altri, da una cena, come a volte capita, a pezzi di lavoro artistico”.

Lo sa bene Lucia Lupan, che si occupa di realizzare sculture a partire da rottami, mamma single di una bambina di otto anni, a Mutonia da due decenni: “Mia figlia va alle elementari a Santa Giustina, fa la vita che fanno i suoi compagni, che spesso passano di qua a trovarla e a giocare con lei. Viviamo in un vecchio carrozzone attaccato al box di un camion: per lei è la normalità e credo che abitare qui le serva, nella vita, ad apprezzare sempre le differenze. Questo è un collettivo di artisti, le energie e gli stimoli sono continui e arricchiscono tutti. L’importante è mantenere, per quel che si può, i propri spazi”.

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