La giovane insegnante di sostegno: “Non siamo baby sitter”

Verso-una-società-inclusivaCecilia Dalle Fabbriche ha solo 27 anni. Da tre, lavora in una scuola primaria di Faenza come insegnante di sostegno. Un’etichetta che, per quanto usata, le sta stretta. Anche perché fa rima con una percezione secondo lei sbagliata che nell’immaginario comune c’è rispetto al suo lavoro. Lo racconta anche nel libro “Verso una società inclusiva attraverso la scuola” (Homeless Book) che si avvale della prestigiosa prefazione di un prof esperto come Andrea Canevaro.
Cecilia, come bisognerebbe chiamarli, gli insegnanti come te?
“Forse insegnanti per le relazioni. La parola sostegno è sbagliata: sostegno a chi? Io sono a disposizione dell’intera classe, sono una risorsa aggiuntiva per tutti. Le colleghe, quando hanno bisogno di un consiglio sul comportamento degli alunni, chiedono a me. Sono lì per quello, per offrire il mio sguardo in più, visto che non sono concentrata sulla materia e sul programma da svolgere. Da fuori, però, pensano tutti che io sia l’insegnante di un solo bambino, che sia la sua baby sitter”.
Che cosa condividi della “scuola Canevaro”?
“L’idea che la normalità non esista. Siamo tutti speciali, tutti con bisogni diversi l’uno dall’altro. Invece, nella società e nella scuola in cui siamo, il disabile è costretto a farsi portatore di qualsiasi esigenza considerata ‘diversa’. Eppure, anche tra i bambini con autismo e con la sindrome di Down, le differenze individuali sono tantissime”.
Come si fa a essere adeguatamente preparati?
“Io sono formata a livello universitario. Ma in provincia di Ravenna, ad avere il titolo, saremo al massimo in dieci. Molti insegnanti lavorano sul sostegno senza una preparazione ad hoc, lo fanno pur di iniziare a lavorare nella scuola ma senza una vocazione specifica. Per chi lo sceglie per interesse e passione, questo è un lavoro di lotte quotidiane. Prima di tutto contro i colleghi vecchio stampo che ti vedono come quella messa lì a fianco del bambino X e solo per lui”.

Cecilia Dalle Fabbriche
Cecilia Dalle Fabbriche

L’inclusione è una possibilità concreta?
“Siamo solo all’inizio. Bisogna cambiare la prospettiva: l’inclusione non deve partire dal bambino con disabilità ma dalla società che lo circonda. Oggi, dentro la scuola, c’è di tutto. A partire dai Bes (bisogni educativi speciali) fino ad arrivare a un numero sempre crescente di bambini accompagnati da una diagnosi. La scuola, da sola, non ce la può fare. Serve l’impegno di tutti: famiglie, società sportive, cultura. Solo così si possono dare le stesse opportunità a tutti”.
Perché, secondo te, i bimbi considerati problematici sono in aumento?
“Credo che i motivi siano due. Da un lato la presenza dei bambini stranieri, che si portano dietro difficoltà linguistiche e disagi di vario tipo. Dall’altro la crisi delle famiglie: vedo sempre più spesso bimbi senza punti di riferimento, figli di separati e divorziati, bimbi soli e spaesati, come mine vaganti”.
Rischiano, anche gli insegnanti di sostegno, di non essere punti di riferimento stabili?
“Assolutamente sì. La precarietà lavorativa è deleteria per i bambini abbinati al sostegno. Anche perché non consente di mettere su una équipe di lavoro efficace insieme a medici e famiglie. Io sono fortunata. Anche se non sono di ruolo, da tre anni lavoro nella stessa scuola. Ma è lo stesso una battaglia. Ci si forma spesso da soli, toccando con mano le storie e le situazioni dei singoli bambini”.

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Commenti:

  1. Cara Cecilia,sono un insegnante di sostegno nella scuola secondaria.confermo molte tue affermazioni,ma credo che forse non ti siano mai capitati bambini che non riescono neppure ad entrare in classe,che non segue nessuno tranne te.in quel caso se non un sostegno,cosa sei? Inoltre,ritengo che l’insegnante di sostegno venga sì spesso considerato di serie b dai curricolari,ma deve avere competenze ed essere un supporto in tutte le .materie, soprattutto nella secondaria,non cura solo le relazioni,ma anche l’aspetto didattico dei bambini certificati.

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