Marino Buzzi a Ravenna: “Ho riaperto vecchie ferite per parlare di bullismo”

lultimavoltaOffese, angherie, botte. Con conseguenze forti, estreme. Il comacchiese Marino Buzzi, librario, blogger e autore, ha preso coraggio. Lo ha fatto trattando un argomento scottante, quello del bullismo. “L’ultima volta che ho avuto sedici anni” (Baldini&Castoldi) sarà presentato giovedì 3 marzo alle 20,30 (apericena alle 19,30) al Centro Quake di Ravenna (via Eraclea 25). Un evento organizzato da Arcigay Frida Byron Ravenna e da Over the Rainbow Lugo.
Bullismo: un tema attualissimo e forse di difficile narrazione e rappresentazione. Che cosa ti ha spinto ad addentrarti in questa materia?
“Purtroppo, come molte persone, ho vissuto sulla mia pelle atti di bullismo, anche se solo da adulto ho avuto la piena consapevolezza di ciò che mi era accaduto. È stato un episodio accaduto in libreria a spingermi a trattare il tema: un ragazzo, accompagnato da due amiche, è entrato nel negozio in cui lavoro e guardandolo ho pensato a quanto fosse fortunato a poter indossare abiti che non rispettavano più il canone ‘maschile. Se mi fossi vestito così alla sua età, probabilmente mi avrebbero ammazzato di botte. Eppure, la prima cosa che ha fatto quel ragazzo appena ha incontrato un altro ragazzo che stava guardando i libri al settore ‘queer’ (quello dedicato alle tematiche femministe e Lgbt) è stato urlare ‘frocio’. Ho sentito crollare quel muro che mi ero costruito negli anni e sono crollato. Non ero più un uomo adulto, ero nuovamente quel ragazzino di sedici anni che aveva paura degli altri. Ho capito che dovevo scrivere dell’argomento anche se per farlo ho dovuto riaprire vecchie ferite e poi, con calma, prendere le distanze dalla mia storia personale per poter parlare serenamente di bullismi”.
Vittime e carnefici: secondo te è questo lo schema, quando si parla di bullismo? O sono i bulli le prime vittime?
“Non c’è uno schema, ogni caso è un caso a parte. Ci sono, al massimo, delle dinamiche che ritornano. Il libro non è un libro colpevolista, non volevo dividere i ragazzi in buoni e cattivi ma cercare di far capire alla lettrice e al lettore che le nostre azioni hanno delle conseguenze e che a volte queste conseguenze sono devastanti. Occorre aiutare entrambe le parti in causa, occorre intervenire sia sul bullo sia sul bullizzato. Il concetto di punizione non mi appartiene, preferisco comprendere le cause per ridurre il danno”.
Nel libro descrivi l’omertà, il silenzio di preside e insegnanti. Credi che il mondo della scuola potrebbe davvero fare la differenza rispetto alla lotta al bullismo? O contano di più le famiglie, l’educazione che ragazzi e ragazze ricevono a casa?
“È un lavoro che riguarda tutti gli attori sociali, le famiglie e la scuola. Occorre inserire sin dalle materne una dialettica con i bambini per far comprendere loro che il rispetto dell’altro è fondamentale per costruire una società migliore. Che non bisogna riversare sugli altri le proprie paure e le proprie insicurezze, che le diversità (termine che rivendico con orgoglio e che riguarda tutti gli aspetti della nostra vita) sono una ricchezza. Occorre introdurre materie come educazione al rispetto, educazione sessuale, civica, parlare serenamente di identità e sentimenti. Purtroppo su questo piano c’è stato una attacco mediatico e politico che ha portato a un imbarbarimento della dialettica. Esempio ne è la vergognosa e fasulla campagna denigratoria sulla falsa ideologia gender che nulla ha a che fare con l’identità di genere, con l’educazione di genere e con gli studi di genere che sono ben altra cosa. Questo è stato un chiaro attacco alla scuola pubblica e alla figura della donna”.
“Le parole entrano per non uscire più”. Sono davvero le offese verbali a essere più nocive e dannose delle ferite fisiche per chi subisce violenza?
“La violenza fisica non è da sottovalutare ovviamente, ogni atto di violenza va condannato con fermezza. Ma spesso le parole, le offese, sono quelle che ti rimangono dentro e che influenzano maggiormente la tua vita”.
Il protagonista del tuo libro ha 17 anni, si chiama Giovanni, è obeso e porta gli occhiali con le lenti spesse. C’è un identikit, secondo te, del ragazzo che è più semplice prendere di mira?
“Quella dell’adolescenza è un’età particolare, bellissima e altrettanto difficile, occorre vedere cosa scatta all’interno del contesto sociale in cui ci si muove: se sei ‘diverso’, se non rispetti i canoni di bellezza, di sessualità, di cultura che la società ti impone hai buone probabilità di finire nel mirino di qualche bullo”
12745962_10208927890063568_7166992583912146891_nSecondo te il bullismo è sempre venato di omofobia? L’approvazione in Senato del ddl Cirinnà – mutilato di stepchild adoption e obbligo di fedeltà – che massaggio dà rispetto a questo?
“Esistono diversi tipi di bullismo, quello omofobo è fra i più violenti e odiosi. Ogni legge che fa un passo avanti verso una società inclusiva è un bene ma le leggi non bastano. Occorre fare un percorso culturale, occorre affrontare serenamente e seriamente alcuni temi che invece sono tabù, come la sessualità, occorre formare una nuova classe dirigente in grado di avere empatia e sensibilità adeguata. E naturalmente agire sul contesto sociale. La legge Cirinnà è qualcosa rispetto al nulla che c’era prima ma, dal mio punto di vista, non è abbastanza. E non lo è perché comunque sancisce una differenza sociale e culturale fra individui e, soprattutto, non difende l’elemento che ne avrebbe più bisogno: il minore. Inoltre i toni che hanno accompagnato questa legge (e il percorso non è ancora concluso) sono stati beceri e violenti. Questo non è positivo”.

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