Adozioni: e Kebede alla fine trovò la sua famiglia

Ecco la seconda parte della lunga e complicata storia di Kebede (nome di fantasia), bambina etiope che, nonostante gli ostacoli della burocrazia, è riuscita ad avere una mamma e una papà. Qui la prima parte. 

pace, adozioneCome scegliere il Paese in cui cercare di adottare? Gli stati aderenti alla Convenzione dell’Aja per la protezioni dei minori e le adozioni hanno protocolli più strutturati, che cercano di non sradicare un bambino dal suo Paese e quindi provano prima vari step (ricreare un rapporto con altri familiari, poi adozione nazionale e in extremis l’adozione internazionale) e proprio per questo richiedono tempi più lunghi per le istruttorie e i controlli.

Passa ancora un anno, tra ricerche e raccolta di documenti, prima per individuare un’associazione giusta, poi per aspettare che all’organizzazione incaricata arrivi notizia di un bambino con i requisiti adatti alla specifica coppia. Ogni ong ha contatti ben avviati con uno o più Paesi, e ve ne sono come il Vietnam o l’Etiopia dalle procedure di adottabilità rapide e collaudate, tali da far sperare di non trovare un bambino troppo provato dall’abbandono.

Dell’associazione Aiau di Firenze sentono parlare bene, nei forum dedicati al tema: si fa carico delle procedure presso il tribunale etiope e per il passaporto, procura avvocati e traduzioni, organizza i viaggi per le visite al bambino. Dal momento della comunicazione di un possibile “abbinamento”, passano altri cinque lunghi mesi di verifiche sulla situazione della bimba, portata alla polizia da chi l’aveva trovata davanti un ospedale. Con l’ultimo viaggio, dopo l’udienza in tribunale, ripartono tutti per l’Italia. Contribuire all’associazione e andare due volte in Etiopia è costato alla coppia circa 20mila euro

I familiari e gli amici dei neogenitori vivono con curiosità l’arrivo della bimba ma all’inizio sembrano spaesati. “Le persone non lo vivevano come normale, facevano dei complimenti esagerati. Era qualcosa da metabolizzare” ricorda la mamma. Solo la nonna è stata da subito contentissima senza riserve. Sin dal corso preparatorio si era posto il tema di come raccontare ai bambini adottati le loro origini. “Ma nessuno ti spiega come dirlo. Certo, bisogna spiegare le cose in un modo adatto all’età e comprensione del bambino. E mai mentire, perché sei il loro pilastro, e non li puoi deludere”.

Ma come mantenere un legame con l’identità culturale del Paese nativo? “Intanto ci rivediamo periodicamente con le altre famiglie conosciute in quest’avventura – racconta la mamma – così che anche i bambini, di età diverse, si possano raccontare a vicenda i propri ricordi. Poi vorremmo portarla a vedere l’Etiopia, che ora mitizza un po’ come la terra in cui ci sono elefanti e leoni e altri animali che qui non si vedono”. La realtà è invece, come spesso capita, a più facce. “Consiglierei questo percorso. Ma c’è chi ha vissuto male l’essere ‘valutati’ come persone e come coppia, sentendosi come indagati. Noi eravamo abbastanza sereni. Poi certo siamo stati anche fortunati, la bambina ha un’indole solare, è curiosissima, socievole, affettuosa. Siamo solo all’inizio, ma sono fiduciosa”, conclude la mamma di Kebede. 

“Hai visto come è ingrassato papà? Che pancione che ha messo su!”

“Forse ha un bambino nella pancia”

“No, Kebede, i bambini nascono solo nella pancia delle mamme”

“E allora io sono nata dalla tua pancia?”

“…No, amore. Sei nata da un’altra donna”

“E chi è?” 

“Non lo so, non la conosco. Forse era qualcuno che non poteva tenerti, non poteva darti da mangiare. Ti dispiace non essere nata da me?”

“Sì… Molto”

“Anche a me, tesoro. Ma io ti ho voluto tanto, ti ho cercato per mezzo mondo, con papà abbiamo fatto di tutto per averti e quando finalmente ti abbiamo raggiunto siamo stati felicissimi”.

Per tutti i requisiti e le tappe delle adozioni internazionali, qui le indicazioni della Commissione per le adozioni internazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

2 – Fine

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