Il lavoro che non si trova, l’indifferenza della gente, le visite private da pagare per avere una consulenza in più. La vita dei genitori con figli gravemente disabili è come una corsa a ostacoli. Ma Larissa Kutasi, 29 anni, romena, ha l’abitudine di vedere le cose in positivo: “Mio figlio Patrik, come gli altri bambini, è un valore aggiunto a tutta la comunità. Ha bisogno di ricevere ma allo stesso tempo ha tanto da offrire. Riesce a darmi la forza per lottare e superare ogni difficoltà”.
Patrik ha quattro anni, va alla scuola dell’infanzia “Pasi” di Ravenna. Nato alla 27esima settimana di gravidanza, è idrocefalo e con un’epilessia farmaco-resistente. Dopo l’ultimo intervento subito, è stato lui a rincuorare la mamma: “Vedrai, ce la facciamo anche questa volta”. E Larissa lo sa. Tranne quando incontra pregiudizi al parco-giochi: “L’estate scorsa mio figlio si è avvicinato a un bimbo per giocare. La mamma lo ha immediatamente allontanato, con la scusa che si era fatta ora di andare a casa. Ma dopo poco ho visto che lo aveva solo fatto spostare. Non è stato semplice spiegare a Patrik, che ci era rimasto molto male, perché nessuno voleva giocare con lui. Mi sono arrampicata sugli specchi, mi sono inventata che il bimbo doveva fare la spesa, che aveva fretta”.
Il punto è che Patrik, nonostante i problemi, parla e capisce. Anche quando qualcuno vede nella sua disabilità un muro: “La nostra vita è molto dura. A volte basterebbe un sorriso in più a renderla migliore, a non sentirsi diversi e distanti dagli altri”. Altrimenti, l’isolamento è dietro l’angolo: “Le mamme nelle mie condizioni sono molto sole. Io ho trovato molto conforto nell’associazione ‘La ruota magica’. Quando sono rimasta incinta di Patrik lavoravo come cameriera, avevo un contratto da dipendente. Poi l’azienda è fallito e adesso, nelle mie condizioni, trovare un posto è un’impresa: quando vai a un colloquio e dici che hai un bimbo disabile, ti dicono che ti faranno sapere e non ti richiamano più. Ci sono giorni in cui mio figlio sta male e devo andarlo a prendere prima da scuola. Nessuno mi sostituisce. Io mio marito siamo stranieri, non abbiamo nonni di supporto. Le baby sitter costano molto e raramente ci sanno fare con un bimbo disabile”.
Per fortuna, in questo limbo, c’è anche qualche luce: “A scuola, sebbene Patrik possa restare solo quattro ore, cioè quelle coperte dal sostegno, abbiamo trovato grande professionalità e umanità. La sua insegnante è molto in gamba e anche le colleghe ci trattano benissimo. Mio figlio dovrebbe entrare alle 9,30 ma mi danno la possibilità di portarlo anche mezzora prima”. Per il resto della giornata, ci sono la fisioterapia e la piscina. I cui costi, come quelli per tutori, deambulatore e medicine, sono coperti dal sistema sanitario. “Noi, però, non ci fermiamo qui – spiega la mamma -. Patrik ha anche qualche problema agli occhi e ogni anno lo portiamo a Pavia per una visita specialistica”.
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