“Per tutelare nostro figlio e perché le leggi dello Stato Italiano non garantiscono l’assistenza e la facoltà decisionale della compagna e del compagno di vita in caso di gravi malattie che purtroppo possono capitare a tutti”. La scrittrice bolognese Simona Vinci, mamma di un bambino di tre anni, si è sposata martedì in Comune a Budrio. Ma sul proprio profilo Facebook ha raccontato la frustrazione del doverlo fare per “obbligo”.
La scelta sua e del compagno Pietro Bassi, infatti, è stata per una cerimonia di bassissimo profilo. Sedici di euro di spese per la marca da bollo, nessun invitato, come testimoni un amico e un’impiegata del Comune conosciuta in quel momento. Nessun fotografo, solo qualche scatto sfuocato realizzato con il cellulare.
La scrittrice di libri come “Dei bambini non si sa niente” e “Strada provinciale tre” non ha nascosto le ragioni della scelta davanti al sindaco Giulio Pierini. E sui social, poi, l’autrice ha rincarato la dose: “Trovo una pagliacciata tutto ciò che ruota attorno ad un contratto. Dirò di più: penso che una volta per sempre bisognerebbe svincolare questo contratto dall’aspetto ‘sessuale’. Una famiglia non deve per forza essere composta da madre, padre e figli, ma può benissimo essere un patto tra persone (amici, amiche) che condividono oneri, diritti e doveri per scelta e per affetto”.
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