Abusi alla materna di Rignano Flaminio. Il pediatra: “Non è vero che i bambini non mentono mai”

Modesto Mendicini
Modesto Mendicini

“Non è vero che i bambini non mentono mai. Mentono, anche se inconsapevolmente. In età prescolare, non c’è limite alla loro fantasia”. Modesto Mendicini è un pediatra romano. Ex professore alla Sapienza, è l’unico medico italiano a essersi schierato a favore delle maestre e della bidella accusate di abusi alla materna Olga Rovere di Rignano Flaminio, alle porte di Roma: un caso scoppiato nel 2006 e che un anno fa ha visto la piena assoluzione, in Appello, delle indagate. Mendicini sarà uno dei molti ospiti del convegno “Bambini vittime degli orchi o delle istituzioni? Tutti assolti, nessun responsabile, chi ha sbagliato?” in programma sabato 16 maggio a Modena e organizzato da Area Family e Sos Giustizia (qui il programma completo).
Professore, che cosa le ha insegnato il caso di Rignano?
“Mi ha insegnato che un sospetto abuso diventa, senza passaggi, una materia incandescente perché nell’immaginario collettivo il bambino è sacro e ha sempre ragione. Appena ho iniziato a far notare che le accuse alle maestre potevano essere infondate, sono stato isolato da colleghi, familiari, pazienti. Ancora oggi, nonostante i due gradi di giudizio, mi chiedono ancora come mi sia permesso di prendere le parti del lupo e non degli agnelli. Sono ancora tutti colpevolisti, certe convinzioni si radicano nelle teste e non vanno più via. Ho combattuto e combatto tutt’ora una battaglia contro i mulini a vento”.
Qual è l’aspetto più difficile da spiegare?
“La capacità di suggestione di un bambino da parte di un adulto. Se un genitore viene da me convinto che il bambino abbia l’appendicite e io inizio a toccarlo nella pancia, chiedendogli più volte se ha male, dopo poco mi risponderà di sì. I bambini tendono sempre a compiacere i grandi. Nel caso di Rignano la suggestione è stata portata all’estremo”.
Come si comporta, quando le si prospetta davanti un falso abuso?
“Ci sono due tipi di falsi abusi. I primi sono quelli in malafede: in genere la madre, quando si accorge che sta perdendo la causa di separazione, inizia ad accusare l’ex marito di violenza sul figlio. In questo caso cerco sempre di sottolineare che il primo a rimetterci sarà il bambino, che porterà i segni di quella falsa accusa a vita, in modo indelebile. I secondi sono quelli in buona fede, come successo a Rignano: in questi casi convoco i genitori e li faccio parlare a lungo, senza interromperli con domande suggestive. Poi faccio la stessa cosa con il bambino: lo faccio parlare e passo all’esame clinico. Se incrociando le cose mi accorgo che l’abuso è campato in aria, faccio ragionare i genitori: quando si sospetta un abuso sul proprio figlio, anche se è falso lo stress che si crea in famiglia è altissimo. E non può che nuocere al minore”.
Il ruolo del pediatra, a questo punto, è fondamentale?
“Sì perché è la prima persona che vede il bambino e i suoi genitori. E quindi può orientare il caso in un senso o nell’altro. Io ho cinquant’anni di esperienza e posso dire che quando c’è un abuso, i segni sono evidenti. Quando un pediatra non riesce a valutare se i sospetti sono fondati, è bene che indirizzi la famiglia a un esperto, a qualcuno che capisca meglio la materia. Altrimenti basta la sola idea di un’offesa al bambino a far scattare l’isteria collettiva”.

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