Benedetta Tobagi alla Casa delle Donne: “Mio padre? Un prisma per raccontare l’Italia”

tobagiAveva solo tre anni Benedetta Tobagi quando suo padre Walter, giornalista, venne ucciso a Milano in un attentato terroristico per mano della Brigata XXVIII Marzo. Era il 1980 e Benedetta, oggi giornalista, scrittrice e storica, da quel lutto ha dovuto non solo rialzare la testa ma capire, capire, capire: chi era suo padre, che cosa era accaduto davvero in Italia durante lo stragismo, perché era stata coniata l’espressione “strategia della tensione”, che cosa percepivano i cittadini di quegli anni bui. Ieri Benedetta Tobagi è stata ospite della Casa delle Donne di Ravenna, a sua volta ospite di Casa Oriani, dove ha parlato dei suoi libri “Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre” e “Una stella incoronata di buio. Storia di una strage impunita”, entrambi editi da Einaudi.

Due libri nei quali la sua biografia si intreccia con la storia dell’Italia degli anni Settanta, dove la ricostruzione della figura di suo padre si lega inesorabilmente ad un pezzo di passato che accomuna tutti: “Quando ho iniziato le ricerche per il primo libro, ho dovuto prendere consapevolezza di qualcosa che riguardava tutti gli italiani ma che si mescolava alla vicenda che mi è toccata in sorte, la morte di mio padre, e che ha determinato pesantemente la mia vita. Ho capito che il lutto che aveva colpito la mia famiglia poteva essere un prisma attraverso il quale raccontare un periodo storico più grande e che la figura di mio padre poteva essere il cristallo trasparente per osservarla, capirla e restituirla agli altri“.

E nell’opera di ricerca, fondamentale è stato lo studio dove suo padre Walter si chiudeva per leggere e scrivere. Uno studio pieno zeppo di libri e documenti, conservato quasi con ossessiva precisione da sua madre: “Ho ringraziato l’atteggiamento nevrotico di mia madre che non ha buttato mai nulla e che mi ha consentito di entrare in un rapporto viscerale con le carte di mio padre, scoprendo cose di lui alle quali, in circostanze normali, non avrei mai avuto accesso. Cosa che mi ha fatto sentire una paradossale nostalgia per qualcosa che in realtà io non avevo visto né vissuto. Quello studio per me è stato un campo magnetico per scoprire le mie origini”.

Un lavoro non semplice, né per la parte di ricostruzione storica, né per quella emotiva: “Quando alle tue spalle hai un’eredità pesante, una figura forte, un’identità tosta, devi definirti confrontandoti di continuo con quello che ti sembra allo stesso tempo un vuoto e una presenza schiacciante. Da mio padre spesso mi allontanavo, a lui poi mi riavvicinavo”. E lo dimostra il fatto che Benedetta, al momento di scegliere a quale facoltà universitaria iscriversi, vira verso Filosofia: “Sapevo della passione per la storia di mio padre, forse già l’avvertivo anche dentro di me ma la materia era troppo incandescente, i fatti ancora troppo recenti per scegliere di studiarla. Però, inconsciamente, facevo cose suicide, come infarcire il mio piano di studi con un sacco di esami di storia o decidere di dare uno di quegli esami con lo stesso docente di mio padre. Quella mattina, ironia della sorte, non mi svegliai in tempo per presentarmi all’appello. Ho capito dopo che la passione di mio padre apparteneva anche a me. E ora che sto concludendo il dottorato in Storia, so davvero dove ci siamo incontrati”.

In questo articolo ci sono 0 commenti

Commenta

g