Donne e tumori, macché bellezza perduta. La malattia diventa un’opportunità per rinascere

tumore al seno, mammografiaUna malattia coglie sempre di sorpresa. Destabilizza e, soprattutto, richiede la messa in campo di risorse personali che molti non pensano neanche di avere. Per aiutare le persone che si trovano a vivere questa drammatica situazione c’è una branca della psicologia che è stata battezzata psiconcologia, a indicare proprio che il principale ambito di azione è quello, ma non solo, degli ammalati di tumore e dei loro familiari. Ne parliamo con Carla Tromellini, libera professionista e presidente dell’associazione La Melagrana, che dal 1995 sviluppa attività a tutela della salute e a supporto dei malati. Tromellini sarà tra i relatori del convegno “Ritroviamo la bellezza perduta. La crisalide del paziente oncologico: l’impatto degli aspetti oncologici, psicologici ed estetici nella relazione di aiuto”, che si terrà a Rimini il 21 febbraio, al centro congressi SGR.
Dottoressa Tromellini, cos’è la psiconcologia?
“E’ la psicologia applicata all’oncologia, con particolare riferimento ai pazienti oncologici e ai loro familiari, seguendone vissuti e comportamenti. Ma non c’è solo l’aspetto clinico, perché sviluppa anche ricerca e formazione del personale sanitario. A dire il vero psiconcologia è un termine un po’ discusso perché tutta la psicologia attraversa moltissimi ambiti sanitari”.
E’ una definizione piuttosto giovane, vero?
“In Italia il primo trattato di psiconcologia è uscito nel 2002, ma nei paesi anglosassoni se ne parlava da prima”.
Chi chiede l’intervento dello specialista in psiconcologia perché lo fa principalmente?
“Intanto perché la malattia ci coglie sempre impreparati. Sì, facciamo lo screening, ma in fondo non ci aspettiamo che possa andare male. A volte, invece, accade. E non siamo mai pronti. Poi ci sono le crisi dovute alla malattia vera e propria, che a volte arrivano subito dopo la diagnosi, a volte dopo la conclusione dell’iter terapeutico, quando la forza che ci ha permesso di affrontarlo ci abbandona. Umore oscillante e attacchi di panico sono fenomeni frequenti”.
Sono più le donne o più gli uomini che si rivolgono a voi?
“Donne. Sia in ospedale, sia in associazione. Gli uomini non chiedono aiuto o lo chiedono molto tardi e perché sollecitati da un consorzio di donne. Per loro la malattia rappresenta una mazzata dalla quale spesso non riescono a riprendersi”.
Ogni genere quindi affronta la malattia in maniera diversa?
“Sì. Soprattutto le donne tra i 25 e i 40 anni o quelle oltre i 65 riescono a vedere la malattia come un’opportunità. Come in tutte le crisi ci sono un prima e un dopo. Da molte interviste realizzate in una ricerca poi pubblicata della Melagrana abbiamo notato che molte donne avevano legato la loro malattia a eventi critici della loro vita (la perdita di una persona cara, una separazione ecc…). In quei momenti, cioè, avevano pensato che si sarebbero potute ammalare. Quando la malattia è arrivata hanno colto l’opportunità per fare un bilancio della loro vita e dopo è arrivata la speranza, la voglia di vivere desideri irrealizzati. Questo è più difficile che accada per le donne tra i 45 e i 65 anni, in cui c’è meno elasticità perché sono più forti i ‘doveri’ sociali dovuti alla presenza di genitori da assistere, al timore di perdere il lavoro, al fatto che magari il marito si è appena pensionato, mentre la loro pensione è ancora lontana…”.
Questo per le donne. Cosa accade invece con gli uomini?
“I maschi, sia giovani che adulti e anziani, quando scoprono la malattia sono in grande difficoltà: o si buttano a capofitto nel lavoro o cominciano ad adottare comportamenti a rischio nel caso dei giovani, o se adulti fanno molta fatica a rivedere le loro priorità esistenziali, tutti comunque riconoscono, a volte per la prima volta, l’importanza del patrimonio affettivo rappresentato dalla coralità di donne del loro privato che si occupa di loro”.
Molti uomini scappano davanti alla malattia della propria compagna…
“Ovviamente non tutti, ma succede. Oltre all’allontanamento vero e proprio c’è anche lo scarso coinvolgimento in ciò che sta vivendo la donna. Molte pazienti mi dicono che sì, il marito, il fidanzato o il compagno le aiuta in maniera concreta, ma non riesce a supportarle moralmente. E questo è un grande problema. Poi, è vero che la malattia non aiuta di certo le coppie già in crisi. Sottolineo, però, che ho visto anche uomini splendidi stare vicino alle loro compagne in ogni momento della malattia”.
Parliamo del lato estetico. Moltissime donne, ma non solo, sono terrorizzate davanti alle conseguenze, pur reversibili, della chemioterapia sul loro aspetto fisico.
“Io però non parlerei di bellezza perduta. La bellezza risiede nei capelli? O in un corpo senza cicatrici? Oggi nei reparti oncologici si vedono donne che non portano nemmeno la parrucca, anche se oggi ce ne sono di bellissime, indistinguibili dai capelli naturali, perché preferiscono foulard legati in un certo modo, oppure cappellini vezzosi. Questo è vero soprattutto per le più giovani. E poi durante la malattia le donne si prendono molta più cura di loro stesse, si truccano gli occhi in un certo modo, proteggono la pelle. Fanno venire fuori tutta la loro bellezza interiore, la loro forza, il loro coraggio. Altro che bellezza perduta!”

Per informazioni: info@ritroviamolabellezzaperduta.it – www.ritroviamolabellezzaperduta.it – telefono 0547 57630.

 

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Commenti:

  1. Qui avete parlato soltanto di quelle donne che hanno dovuto subirsi alla chemioterapia. E le altre? Quelle che hanno affrontato il trauma di perdere un seno o addifittura tutgi e due?

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