Declassamenti, mobbing, orari più scomodi, mancati rinnovi se non, addirittura, licenziamenti. Per le mamme il lavoro è ancora una conquista difficile, soprattutto quando annunciano una gravidanza o ritornano dopo il congedo. Questo, almeno, emerge da una discussione che si è accesa sul gruppo Facebook “Consigli da mamma a mamma Emilia-Romagna”: è bastato che una delle iscritte chiedesse alle altre se sulla loro pelle hanno vissuto discriminazioni professionali a causa dei figli che si è scatenato l’inferno, con decine di testimonianze agghiaccianti che sottolineano come la maternità sia ancora vista come un ostacolo da parte del mondo del lavoro.
Una mamma ha raccontato che dopo avere avuto il secondo figlio, da modellista per una ditta di abbigliamento qual era è stata mandata in magazzino. Alcune hanno detto di essere state lasciate a casa senza se e senza ma. Qualcuna è stata “costretta” a licenziarsi dopo aver subito una serie di angherie: “Me ne hanno fatte di tutti i colori. Alla fine ho ceduto, mi stavo ammalando”. E poi: “Mi hanno dato orari scomodissimi e fatti apposta per mettermi il bastone fra le ruote”.
Un’altra mamma, appena ha detto al datore di lavoro che era incinta, è stata lasciata a casa, salvo essere richiamata ogni tanto, “quando pareva a loro”. Senza contare chi ha subito mobbing non dal datore ma dalla collega: “Mi ha fatto vedere i sorci verdi”. Lenta agonia per un’altra mamma: “Hanno aspettato che mio figlio avesse un anno e poi mi hanno licenziata con la scusa che la mia sostituta costava meno”.
E c’è anche chi si è dovuta riconquistare ruolo e stima, come se la maternità l’avesse privata della propria esperienza e delle proprie capacità: “Una volta rientrata dopo la maternità sono stata costretta a fare la gavetta, come se fossi per la prima volta lì”. Molte, inoltre, hanno denunciato scarsa comprensione non solo da parte degli uomini ma delle donne: “A me hanno fatto terra bruciata, compresa la mia collega più cara. Nessuno più mi parlava, mi hanno cambiato mansione, declassata totalmente, snobbata in tutto e per tutto”. Ma ci sono anche i trasferimenti, come quello della mamma mandata Milano a spese sue.
Tra i commenti, quelli positivi si contano sulle dita di una mano: “La mia azienda mi ha riaccettata meglio di prima. Faccio assistenza domiciliare a persone anziane e disabili. Se ho bisogno sono sempre pronti a trovare una soluzione e a venirmi incontro”. E poi: “Sono statale. al mio rientro mi hanno accolta a braccia aperte per carenza di personale”. Infine, “mi hanno concesso il part-time verticale”.
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Commenti:
Ho saputo di questa iniziativa che ho trovato assolutamente controproducente; se già dopo soli tre mesi di assenza dal lavoro per la maternità obbligatoria, sul posto fisso, veniamo declassate, e come libere professioniste si fa fatica a rientrare nel giro, chi sa che cosa ci si prospetterebbe, nel mondo del lavoro, standovi lontane per ben tre anni. Secondo me è solo una scusa per tagliarci fuori del tutto dalla vita lavorativa. Voi che cosa ne pensate?
“Uno stipendio alle mamme, si può fare?
21 febbraio 2015, convegno a Bologna
In Italia la maternità è uno dei beni meno tutelati a livello sociale. Il nostro paese è alle prese con un calo della natalità senza precedenti (ogni mamma mette al mondo circa 1,4 figli: si stima una riduzione della popolazione del 30% nel passaggio da una generazione alla successiva). Invertire questa tendenza è possibile solo con misure radicali.
La proposta di Giovanni Paolo Ramonda, Responsabile Generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, di riconoscere uno stipendio a tutte le mamme da 0 a 3 anni di vita del bambino, verrà analizzata in un convegno a Bologna il giorno 21 febbraio, dalle 9 alle 13. Interverranno nel dibattito l’economista Ettore Gotti Tedeschi, il presidente del Forum Nazionale delle Associazioni Familiari Francesco Belletti, la Consigliera di Parità del Ministero per il lavoro e le politiche sociali Alessandra Servidori.”
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