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“Una scuola da rifare” di Giuseppe Caliceti
Giuseppe Caliceti: maestro e scrittore
Giuseppe Caliceti: maestro e scrittore

Ha iniziato a 18 anni. Oggi che ne ha cinquanta, Giuseppe Caliceti non ha perso l’energia per insegnare. Il 15 settembre ripartirà dalla prima elementare. Credendo ancora in una scuola “da rifare”, come dal titolo di uno dei suoi molti libri. Ma al tempo stesso intravedendo a tinte sempre più nitide i difetti del sistema, compresi quei genitori troppo alleati dei figli e troppo poco combattivi nel cercare di ottenere i diritti che spettano ai loro bambini.
Caliceti, come si ritrova dopo così tanto tempo la passione per ricominciare dall’alfabeto, di fronte a bambini nuovi?
“I bambini sono faticosi, gestirli è un mestiere difficile. Ma ogni volta ti ridanno un’energia pulita, fresca. E si ricomincia da lì”.
Da fuori, però, i docenti non sono così considerati. Perché?
“Una volta, in tv da Daria Bignardi, ho fatto un esempio eloquente: prendete 24 bambini tipo quelli di SOS Tata. Provate a immaginare cosa significhi averli tutti i giorni, doverli far crescere. Dall’esterno non si percepisce tutta questa fatica”.
Colpa, anche, dei genitori?
“Non parlerei di colpe. Ma di sicuro quello che è successo nella scuola dal 2008 i genitori non l’hanno colto. Il licenziamento di 150mila docenti è stato qualcosa che, se fosse successo alla Fiat o all’Alitalia, avrebbe scatenato la rivoluzione. La scuola primaria italiana era la prima in Europa e la quinta nel mondo. Avevamo la Ferrari, ora è stata rottamata e sostituita con una Cinquecento: è come se lo Stato avesse detto che dei nostri figli non vuole più occuparsi”.
Come si sente, di fronte a tutto questo, un insegnante?
“Squalificato. Siamo stati ridotti ad animatori di villaggi turistici, costretti a controllare che i bambini non si facciano male, impossibilitati a bocciare, obbligati a raccontare a mamme e papà che va tutto bene. L’idea di scuola alla Don Milani o alla Gianni Rodari, una scuola popolare, aperta a tutti e di qualità, è venuta meno. Non è un caso che i docenti siano la categoria professionale che fa più uso di psicofarmaci. Senza contare che i maestri maschi sono mosche bianche alla scuola primaria. Sarei quasi per proporre le quote azzurre: ai bambini manca la possibilità di confrontarsi con gli uomini, non esiste un alfabeto affettivo in tal senso. L’allarmismo sulla pedofilia fa scattare nei genitori strane paure sul fatto che i bambini vengano seguiti da maschi. A Ravenna ho trovato aberrante che il vescovo, dopo la vicenda di Don Desio, abbia lanciato il monito affinché educatori e catechisti non stiano più da soli con i bambini”.
Che cosa cela quel messaggio?
“L’idea che non ci si debba più fidare degli adulti, attorno ai quali, invece, ruota tutta l’educazione. Con una regola del genere si sancisce a priori che l’adulto sia inaffidabile”.

L'ultimo libro di Giuseppe Caliceti
L’ultimo libro di Giuseppe Caliceti

Insegnanti degradati, sottopagati, senza più passione. Vi si chiede, qualche volta, anche di fare da genitori?
“Purtroppo sì. Ma non è il nostro ruolo, sostituirci a mamme e papà non è sano. Però i bambini spesso si trovano di fronte ad adulti che dicono cose opposte. Non sanno più se credere al maestro o alla mamma”.
Lei ha ancora fiducia, in una scuola così martoriata?
“Sì, mi viene dalle capacità di adattamento e dall’intelligenza dei bambini. Ho meno fiducia nelle madri: da loro mi aspetterei più combattività, una difesa a spada tratta dei diritti di tutti i bambini, anche quelli degli altri. Pensiamo agli alunni disabili: mancano il 50% degli insegnanti di sostegno. Ma le mamme non si uniscono per alzare la voce”.
I tempi cambiano, del resto. Ogni cinque anni che cosa trova di nuovo nelle sue classi?
“La differenza più sostanziale riguarda le tecnologie e i cosiddetti nativi digitali. L’anno scorso la mia quinta aveva un gruppo su WhatsApp dove ogni giorno si commentava cosa era successo la mattina a scuola. Il regalo più gettonato per la comunione è lo smart phone. Io non sono contro Internet e cellulari, dico solo che i genitori devono sempre esserci. Invece di opporsi a Violetta, lo devono guardare. Per poi parlarne con i figli e magari arrivare a discutere di Dante. Idem per WhatsApp: non lo devono combattere, lo devono conoscere”.