Difficile essere donna, lavoratrice e incinta. Spesse la maternità è vista come un peso dalle aziende, che in casi estremi arrivano a far firmare alla donna, al momento dell’assunzione, delle dimissioni in bianco da utilizzare in caso di gravidanza. Casi estremi, appunto; ma in altre zone del mondo questa è la regola. E’ il caso, per esempio, del Giappone, dove per indicare il fenomeno che fa letteralmente strage delle madri, o aspiranti tali, lavoratrici è stato coniato anche un neologismo: matahara. La parola deriva dai termini ‘maternity’ e ‘harassement’, cioè una vera e propria forma di molestia diretta verso le dipendenti in maternità, che si trovano a subire pressioni psicologiche e fisiche tali da subire anche degli aborti.
E’ questa, per esempio, la storia di Sayaka Osakabe, 37 anni, raccontata da Il Fatto Quotidiano. Assunta in un’azienda di Tokyo, dopo un primo aborto chiese al suo responsabile che le fosse diminuito il carico di lavoro giornaliero, che la costringeva a stare in ufficio spesso fino a mezzanotte. La risposta fu negativa e Sayaka continuò a lavorare come sempre, finché non abortì una seconda volta. Dopo ulteriori pressioni psicologiche lasciò il lavoro e fece causa all’azienda.
Per aiutare le donne che hanno vissuto o stanno vivendo situazioni come la sua Osakabe ha fondato l’associazione e il sito Matahara Net, con l’obiettivo di dare garanzia a queste persone di non doversi trovare davanti all’ultimatum “o lavori o fai un figlio”.
La sensibilità dell’opinione pubblica sul matahara è recente, anche a livello sindacale. E’ di appena un anno fa, infatti, un sondaggio commissionato dai sindacati che ha rilevato come quasi il 26% delle lavoratrici tra i 20 e i 40 anni abbia subito forme di matahara. Tuttavia, solo il 6% ha dichiarato di conoscere l’esatto significato del termine.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta