
Si può partorire in una vasca, tra fiori di frangipane appena colti, senza medici intorno, con il proprio compagno di fianco. E cantando insieme lui. Elena Skoko è una ragazza di origine croata, bolognese d’adozione. Oggi vive tra Roma e Bali, dove con il papà di Koko, la loro bimba di quattro anni e mezzo, ha fondato il gruppo creativo e musicale Bluebird & Skoko. Ma Elena è soprattutto autrice del libro “Memorie di un parto cantato. Una nascita gentile con Ibu Robin Lim”, nel quale racconta il suo parto, spinta dalla curiosità delle amiche affascinate da un’esperienza così lontana da quella che in genere si vive negli ospedali.
Elena, come possiamo definire il tuo parto?
“Gentile, non disturbato. Koko è nata nella casa di maternità fondata da Ibu Robin Lim, un’ostetrica di origini filippine che ha vinto anche il premio come eroina dell’anno della Cnn. A Bali il disagio materno è molto, nella casa le donne trovano a titolo gratuito attenzione, cura e un servizio che non esagero a definire principesco”.
Ovvero?
“Ti fanno sentire una dea. Le donne vengono trattate con estremo rispetto, a qualsiasi ceto sociale esse appartengano. I medici non intervengono se non sopraggiungono difficoltà. Tutto è in mano alle ostetriche, che tengono un atteggiamento discreto, entrando solo per dare sostegno e consigli quando servono. Io sono rimasta per molto tempo da sola con il mio compagno, immersa in una vasca piena d’acqua, tra fiori raccolti poco prima”.
Il dolore è lo stesso dolore o lo si vive diversamente in quelle condizioni?
“Io sopportavo cantando. Koko è stata espulsa mentre cantavo. Mi sono sentita libera di fare quello che mi veniva spontaneo, senza contare tutte le agevolazioni che mi venivano mano a mano suggerite, come il cambio di posizione, l’utilizzo della palla per il Pilates e appunto l’immersione in acqua”.

Una formula molto diversa da quella che sono abituate a vivere le donne occidentali…
“Sì, anche se non ci vuole molto per applicare metodi diversi. Rispettare la sacralità del parto, oltre alla sua fisiologia e alla sua sociologia, è davvero questione di pochi e importanti gesti”.
Da che cosa erano attratte, in particolare, le tue amiche, quando ti hanno spronata a scrivere le memorie del tuo parto?
“A loro è sembrato di certo un parto inusuale, esotico. E sono state anche attratte dal lotus birth: a Koko non è stata tagliato il cordone ombelicale, come in genere avviene. Lasciarla attaccata alla placenta mi sembrava una bella opportunità da darle, l’unica di questo genere che ha nella sua vita: un’ultima riserva di sangue materno che le sarebbe servita almeno per i due anni successivi”.
Ci sono vantaggi tangibili derivati dalla scelta del lotus?
“Non ci sono certezze. Fatto sta che Koko è una bimba stabile, presente, che ha preso una sola volta in quattro anni e mezzo l’antibiotico. Ero affascinata dall’idea che potesse ricevere il massimo per svilupparsi in maniera ottimale. E non ho voluto rinunciare a tutto questo potenziale”.
Dal tuo parto è nata una passione?
“Sì, mi sto dedicando alla ricerca sulla cultura del parto. E tengo seminari esperienziali in giro per il mondo, dove stimolo le donne e i loro partner a tirare fuori le proprie risorse, ad accettare e vivere il parto come momento della propria sessualità e della sessualità della coppia. Un momento di puro piacere, cosa per niente ovvia nella mentalità comune”.
Non c’è il rischio che le donne con percorsi di parto normali, tra ospedali ed epidurale, siano considerate diverse?
“Il rischio c’è. Ma io tengo a dire che non sono per la naturalità, sono per le libere scelte. A me interessa il rispetto che spesso viene a mancare nei percorsi di maternità. Una donna può scegliere anche il parto medicalizzato, basta che ne sia consapevole”.
A questo link il blog di Elena
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