Guardando la pagina Facebook di Miao Mao, ovvero quella di Anna e Fabio, due bambini di cinque e sei anni, tenuta dalla loro mamma, Santina, cresce l’emozione nel leggere la vitalità e l’energia di una madre che lotta per i propri figli costantemente. Sì, perché Anna e Fabio sono due fratelli con sindrome di autismo grave: Santina combatte ogni giorno contro un’amministrazione che rende tutto più complicato. “L’handicap maggiore non è quello dei nostri figli, ma è quello dello Stato”. Parole dure le sue ma sofferte e meditate dopo anni di promesse non mantenute da parte di chi dovrebbe aiutare i suoi figli invece che ostacolarne la crescita.
L’attenzione a lei e al suo profilo nasce a causa dell’onda mediatica provocata da un’iniziativa lanciata in rete qualche mese fa, con la quale invitava i genitori nelle sue stesse condizioni a fare ricorso al Tar (Tribunale Amministrativo Regionale) per ottenere maggiore sostegno per i propri figli che frequentavano le scuole dell’obbligo. Ma la novità era quella di fare un ricorso “collettivo”, cioè tutti insieme, così da abbattere i costi e i cavilli macchinosi della burocrazia.
Santina come nasce l’idea di utilizzare Facebook per fare ricorso?
“Dopo due anni in cui non ci veniva dato ciò che ci aspettava, infatti ai nostri bambini è stato diagnosticato un autismo grave, soprattutto alla femmina, e dopo aver avuto nel primo anno di materna, solo sei ore di sostegno, e nel secondo anno nove, contro le 21 che per diritto avremmo dovuto avere, abbiamo pensato di dover fare ricorso al Tar, ma i costi per uno ricorso si aggirano intorno ai quattro mila euro e noi dovendone fare due, dovevamo spenderne il doppio. Allora ci è venuta in mente questa idea: ‘Perché non prendere un avvocato che si occupi di ‘ricorsi collettivi?’ E’ una cosa che si può fare, ne avevamo già sentito parlare in altri ambiti. Allora abbiamo cercato un avvocato specializzato in diritto scolastico e del lavoro e abbiamo lanciato il messaggio su Facebook”.
E cosa è successo?
“Siamo stati inondati di risposte, ne sono arrivate più di 1500 da tutta Italia. E’stata una gioia immensa. L’organizzazione a livello regionale però è risultata macchinosa, perché deve essere raccolta tutta la documentazione, per ogni bambino devono firmare entrambi i genitori, poi viene fissato un appuntamento e l’avvocato va in quella regione per ritirare tutto il materiale. Dopodichè inizia la lavorazione per il ricorso e successivamente viene tutto depositato al Tar. Per ora lo hanno fatto la Lombardia, il Piemonte e la Liguria, le altre regioni si stanno ancora organizzando”.
Che cosa vi aspettate dal ricorso?
“Che venga dato ai nostri figli ciò che gli spetta di diritto. Esiste una commissione formata da una equipe medica di psicologi, neuropsichiatri e altri operatori del settore che vagliano caso per caso, e diagnosticano la gravità dei vari handicap. Le ore di sostegno per una disabilità riconosciuta come grave sono 25 a settimana alla materna, 22 alle scuole elementari e 18 alle scuole medie. Ma di solito ne vengono date quattro o al massimo sei e così poche non servono a nulla. Il bambino necessita di programmi su misura, di un piano educativo che permetta il suo sviluppo, che non lo faccia peggiorare anche in altri ambiti distinti da quello del disagio. I bambini con handicap hanno bisogno anche di figure di sostegno che permettano una buona integrazione tra il bambino e le classi, perché molto spesso sono entrambi le parti a trovarsi in difficoltà”.
Cos’altro si può fare per questi bambini?
“Dovrebbero esserci dei corsi per spiegare ai genitori, agli insegnanti volenterosi, alle nonne e a tutte quelle figure che vivono con questi bambini, che basta poco per migliorare la loro situazione. Esistono degli esercizi, dei comandi, delle tecniche e dei modi di rivolgersi a loro che permettono di ottenere subito dei risultati. Io e mio marito abbiamo cominciato a studiare, mi sono laureata in psicologia infantile, mi sono specializzata in tecniche comportamentali, utilizzo la tecnica ABA, di derivazione cognitivo-comportamentale e mi ritengo veramente fortunata, perché Anna e Fabio migliorano anche se il loro autismo è molto grave. Tantissime famiglie vorrebbero sapere cosa fare per rompere il muro dell’handicap”.
Unire le forze cos’altro ha apportato alle famiglie?
“Tanta comunione, comprensione, scambio, ciò ha permesso ad alcune famiglie di confrontarsi e di sentirsi meno sole. Per ogni regione è stato scelto un referente per rimanere sempre in comunicazione anche al di fuori della regione stessa e così siamo venuti a conoscenza di cose terribili, di minacce più o meno velate da parte di alcuni Dirigenti Scolastici che intimavano i genitori a lasciar perdere il ricorso, perché se non si fidavano degli strumenti della scuola ‘allora sì che i loro figli avrebbero cominciato ad avere dei problemi’. Tutto ciò mi pare assurdo, non sono mica le scuole a pagare il sostegno ma le amministrazioni. Un’altra mamma mi ha raccontato che la classe di sua figlia, che è sulla sedia a rotelle, è stata messa al primo piano, ovviamente la scuola è senza ascensore. E’ tutto così assurdo e grottesco, sono questi bambini che dovrebbero essere messi al centro, invece ci finiscono sempre delle dinamiche di scuole, di burocrazia poco chiare e tali prtroppo resteranno. Pensi che a noi quest’anno senza fare ricorso c’è stato dato ciò che aspettavamo da tempo, il giusto numero di ore”.
E perché?
“Non lo so proprio, il ricorso non lo abbiamo ancora fatto”.

Anche in Emilia Romagna alcune mamme si stanno organizzando per lanciare il ricorso collettivo. Tra queste Simonetta Rizzo, mamma bolognese di un bambino disabile.

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