“Faccio un figlio, anzi no”: quando la maternità è un desiderio oscillante

Mettete tra parentesi la precarietà del lavoro, l’infertilità, l’instabilità di coppia. Siamo sicuri che le donne facciano sempre meno figli per questi motivi? Non solo, secondo Elena Rosci, psicoterapeuta e autrice, dopo “Mamme acrobate”, del libro “La maternità può attendere”, edito da Mondadori. L’autrice lo presenterà martedì 11 giugno alla libreria Mondadori di Milano (via Marghera).
Una donna su cinque in Italia non ha figli, scrive nel suo libro. In alcune zone del Nord, soprattutto tra le laureate, la percentuale si alza. Il fenomeno è abbastanza studiato?
“Credo sia molto sottovalutato, gli psicologi se ne occupano poco o niente. Si lega spesso il decremento delle nascite alla crisi economica, al lavoro, alla casa. Si parla meno, invece, di nuove identità femminili. Tradizionalmente la donna senza figli o era zitella o era monaca. Ma dagli anni Settanta è emersa una nuova tipologia femminile che non è contraria ideologicamente alla maternità ma prova un interesse oscillante”.
Voglio un figlio, non lo voglio. Lo faccio, non lo faccio. Perché il desiderio è altalenante?
“Le donne avverse alla maternità ci sono sempre state, e hanno rappresentato un’eccezione in una classe colta. Pensiamo a Simone De Beauvoir, a Margherita Hack, a Rita levi Montalcini. Per le nuove donne invece la matenità è una possibilità, un’eventualità. Ma non è in cima alla lista, non è una priorità. Viene considerata come scelta, poi abbandonata perché le donne si considerano sempre più esseri in crescita, in evoluzione”:
Rispetto a che cosa?
“All’emancipazione dalle proprie famiglie di origine, alla costruzione della coppia, all’immagine di sé come persona professionalizzata, a tanti altri motivi ancora. Questo fa sì che la voglia di un figlio subisca un movimento ondivago, che venga considerata e poi accantonata, stretta però dal limite temporale dell’età fertile che sta per concludersi. Ma se non arriva, le donne non cadono in depressione: più semplicemente, non è successo”.
Di che cosa hanno paura, le non mamme?
“Che un figlio blocchi quella formazione in essere. Non considerano che un bambino è una persona alla quale una madre può crescere accanto, in parallelo”.
Quanto conta il modello di madre anni Cinquanta?
“Moltissimo. L’immagine di una donna che a vent’anni trova l’uomo della sua vita, lo sposa e ci fa dei figli, realizzando così tutta la sua vita adulta, è ancora molto presente. Le donne di oggi no, non vogliono totalizzarsi e cristallizzarsi intorno a coccole, pannolini e borotalco. Quella è un’idea per loro datata e poco attraente”.
Quindi il messaggio è che si può fare la mamma anche senza annullarsi nel ruolo?
“Certo, mentre ci si occupa del bambino ci si occupa anche di se stesse. La madre per questo è una figura di grande equilibrio, per quanto instabile. Ed è un modello etico di integrazione sociale molto valido, in una società narcisistica. Lontano da un’idea di perfezione che non esiste più”.
Lei è anche mamma?
“Sì, ho una figlia di 17 anni. Non ho mai avuto, da ragazzina, un progetto di maternità. Ma dopo i trent’anni ho iniziato a pensarci, sempre ondivaga come le donne che descrivo nel libro. Poi, quando è nata mia figlia, mi sono lanciata e tutta la mia vita, alla fine, è stata un equilibrio su quel doppio binario costituito dal mio essere mamma e dalla mia identità come persona. Anni luce dal modello della carrierista e anche dallo stereotipo della mamma di stampo ottocentesco. Una grande esperienza”.
Perché fare figli è importante?
“Perché il calo delle nascite, unito all’aumento della speranza di vita, fa sì che In Italia, dove le donne fanno in media 1,21 figli a testa, la società invecchi. E così facendo, si impoverisca”.

In questo articolo c'è 1 commento

Commenti:

Commenta

g
To Top