Novemila campioni raccolti in meno di sei anni. All’estero si può, anche se l’estero è San Marino. Siamo al Bioscience Institute, che dal 2007 raccoglie il sangue cordonale dei neonati. Il che significa cellule staminali a servizio di eventuali esigenze mediche future che si spera di non dovere mai soddisfare. La dottoressa Elisabetta Randolfi sa bene quanto sia importante, per una famiglia, fare una scelta del genere: la ricerca nel frattempo va avanti e chissà tra dieci o vent’anni quante patologie si potranno curare andandosi a prendere il proprio campione.
Dottoressa, qual è l’ultimo successo in materia?
“Al San Raffale (Gruppo Tiget), è stato approntato il primo protocollo di cura efficace contro una malattia genetica: la sindrome di Ada-Scid. I bambini affetti da questa patologia hanno una scarsa aspettativa di vita perché il loro sistema immunitario non funziona correttamente: per loro anche un semplice raffreddore può causare la morte. A Milano sono riusciti a correggere il dna delle staminali emopoietiche prima di impiegarle per il trapianto autologo. Questa cura è stata già riconosciuta dall’EMA (Agenzia Europea del Farmaco)”.
In generale quali patologie si possono risolvere grazie alle cellule staminali?
“Con le cellule staminali ematopietiche si curano soprattutto patologie del sangue, come linfomi, leucemie e mielomi. Molti pensano che si utilizzino da poco tempo, ma il primo trapianto è stato fatto a Parigi nel 1988. Ad oggi sono stati fatti più di 20mila trapianti e l’impiego è in continua crescita”.
Che cosa potete fare, a San Marino, che in Italia non si può fare?
“A San Marino, come nella maggior parte degli stati europei, viene effettuata la conservazione del sangue cordonale a scopo preventivo. In Italia la conservazione è ammessa solo per fini solidaristici o se la famiglia aspetta un bambino che risulti essere già malato; in tal caso si definisce conservazione dedicata”.
Quali sono i vantaggi pratici?
“Il vantaggio della conservazione a scopo preventivo è che il campione risulta immediatamente disponibile ed è totalmente compatibile con il neonato”.
Vale anche per genitori e fratelli?
“Nel caso dei fratelli c’è una possibilità del 25/30% che siano compatibili tra loro; nel caso dei genitori le percentuale può ridursi, occorre in ogni caso effettuare un test per valutarla. Noi cerchiamo sempre di spiegarlo con chiarezza alle famiglie che ce lo chiedono. La trasparenza è la nostra prerogativa nell’informazione”.
Anche sui prezzi?
“Certo, nessun mistero. Per avere il kit si pagano 200 euro. Quando il sangue viene prelevato e trasportato ai nostri laboratori, se il campione risulta idoneo e il congelamento va a buon fine, se ne pagano altri 2mila. C’è anche la possibilità di rateizzare, vogliamo andare incontro alle esigenze delle famiglie”.
Nel caso la famiglia dovesse nel tempo usare il campione, come la aiutereste?
“La restituzione avviene in forma gratuita e, siccome alcune spese potrebbero non essere coperte dal sistema sanitario nazionale, prevediamo un rimborso fino a 20mila euro”.
Nessuna famiglia, ancora, è ricorsa al proprio campione?
“Nessun campione conservato all’estero è ad oggi rientrato in Italia; ne sono stati raccolti pochi rispetto alle possibilità e la probabilità che questi possano essere necessari per fortuna non è elevata”.
Nel frattempo che cosa sta succedendo a livello di ricerca?
“Si stanno sviluppando protocolli per la cura di altre patologie genetiche, come la Leucodistrofia Metacromatica e la Talassemia, utilizzando la terapia genica nel trapianto autologo. Di pari passo si stanno sviluppando procedure per standardizzare l’impiego di cellule staminali sottoposte ad espansione per aumentarne il numero e le potenzialità d’impiego”.
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