Perché a diciott’anni non si è ancora così grandi. Perché senza un punto di riferimento anche pagare una bolletta può risultare difficile. Perché dopo molto tempo insieme, un arrivederci e grazie è raro, forse anche ingiusto. Inaugura venerdì 15 marzo alle 18,30 al Centro giovani RM25 di Rimini (corso d’Augusto, 241) il primo sportello in Italia dedicato a supportare i neomaggiorenni che vivono fuori dai contesti familiari. Su impulso dell’associazione Agevolando Onlus (la prima nata proprio dall’iniziativa di giovani che hanno vissuto buona parte dell’infanzia e dell’adolescenza fuori dal classico contesto casa-mamma-papà), in Emilia-Romagna spunteranno presto altre esperienze simili. Ma Rimini, in particolare la Fondazione San Giuseppe che promuove il progetto, è la capofila. A parlarne è il direttore Silvia Sanchini.
Silvia, da dove viene il nome dello sportello “Se potessi”?
“Dal fatto che i nostri ragazzi, quando si avvicinano ai diciott’anni, spesso dicono: ‘Se potessi avere un lavoro’, ‘Se potessi restare ancora un po’ in comunità’. Così abbiamo pensato di creare uno spazio dove in parte quei desideri possano esaudirsi”.
Come funzionerà il progetto?
“Per il momento funzionerà una volta alla settimana, il venerdì. Ci rivolgiamo non solo ai ragazzi che sono stati nelle nostre strutture ma a tutti quelli che nella provincia di Rimini abbiano una situazione simile”.
Che cosa vi chiederanno?
“Quello che già chiedono a noi educatori informalmente. Di aiutarli a pagare una bolletta, di andare con loro a vedere l’appartamento che vorrebbero prendere in affitto, di dare loro una mano a capire e firmare un contratto. Quasi sempre noi siamo le uniche figure di riferimento, è normale che anche dopo la maggiore età continuino a chiedere un supporto. Da venerdì, di fatto, formalizzeremo un servizio che già svolgiamo”.
Quanti minori sono nelle vostre strutture?
“Noi gestiamo tre strutture per minori insieme alla cooperativa Millepiedi, più due centri residenziali e uno diurno, oltre ad alcuni appartamenti dove i ragazzi restano per periodi brevi. Parliamo di circa 45 ragazzi in tutto. Dopo l’acuirsi del conflitto in nord Africa sono aumentati gli stranieri, i cosiddetti minori stranieri non accompagnati. Ma ne abbiamo anche di italiani”.
Hanno caratteristiche comuni?
“In genere sono ragazzi molto forti, in gamba e intraprendenti. Rispetto ai coetanei, in certi casi, hanno una marcia in più. Sono abituati a lavorare, sono arrivati in Italia in condizioni estreme. Ma sono pure sempre degli adolescenti”.
Perché avete scelto la fascia di età dei neo-diciottenni?
“Perché a diciott’anni finisce per legge la loro presa in carico e inizia una fase delicatissima. Esistono servizi di transizione, come i nostri appartamenti, dove possono avere un accompagnamento protetto verso l’autonomia ma dura in genere poco, al massimo un anno”.
Succede che rimaniate in contatto con i ‘vostri’ ragazzi anche quando ormai sono adulti?
“Sì, ed è bellissimo. Di recente alcuni si sono ritrovati su Facebook a distanza di quindici anni. Noi non li perdiamo di vista, soprattutto quando i progetti che li hanno riguardati sono andati bene e i nostri rapporti con loro sono stati buoni. Non va negato che certe situazioni presentano delle difficoltà. Ma quando le cose filano lisce, l’affetto resta eccome”.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta