Dieci anni senza vedere la figlia quanto avrebbe potuto. Il papà non si arrende e decide di ricorrere alla Corte di Strasburgo che gli dà ragione, accusando i tribunali italiani di non essere capaci di mettere in atto misure concrete che diano attuazione alle loro decisioni.
Protagonista della vicenda è Sergio Lombardo, un papà che dal 2003 combatte per incontrare con regolarità la figlia che oggi ha 12 anni, senza ancora riuscirci. Il suo calvario comincia dopo la separazione dalla compagna che dieci anni fa ottiene dal tribunale di Roma l’affido esclusivo della bimba, trasferendosi poi a Termoli. Il padre, secondo la decisione del tribunale, potrebbe vedere la figlia due pomeriggi a settimana, un weekend su due, tre giorni a Pasqua, sei a Natale e dieci durante le vacanze estive. E Lombardo comincia così a dividersi tra Roma e Termoli senza mai riuscire a vedere la figlia se non per poco tempo, molto meno di quello che gli spetterebbe. Impossibile così costruire un rapporto con la bambina.
In poco più di un anno Lombardo si rivolge tre volte al tribunale dei minori di Termoli per far valere il suo diritto di visita. Tutte le volte il tribunale gli dà ragione ma la situazione non cambia, anzi peggiora. Lombardo ricorre allora numerose altre volte davanti ai tribunali di Roma e Campobasso ma continua a non poter vedere la figlia quanto dovrebbe e vorrebbe. E la situazione non è ancora cambiata.
Nel suo ricorso a Strasburgo Lombardo ha sostenuto che le autorità italiane, tribunali e servizi sociali, non hanno fatto quanto avrebbero dovuto per proteggere i suoi diritti di genitore. Aspetto sul quale la Corte europea dei diritti umani oggi, condannando l’Italia, gli ha dato ragione. Nella sentenza è sottolineato che i giudici, tra il 2003 e il 2011, si sono limitati a osservare la non esecuzione delle loro sentenze. “I tribunali – è scritto – non sono stati all’altezza di quello che ci si poteva ragionevolmente attendere da loro poiché hanno delegato la gestione degli incontri tra padre e figlia ai servizi sociali”. Secondo la Corte, ”la procedura seguita dai tribunali è stata fondata su una serie di misure automatiche e stereotipate” che hanno determinato una rottura del legame tra padre e figlia. Per i giudici di Strasburgo, in situazioni come questa i tribunali dovrebbero prendere rapidamente misure più dirette e specifiche per ristabilire i contatti fra genitore e figlia perché il passare del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulla loro relazione.
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