D come donna: un fattore che nelle imprese aiuta a superare la crisi. Ravenna lo dimostra. Parola di Lidia Marongiu


Ripetete piano e scandite: WO-ME-NO-MICS. Da ora in poi vi sarà più facile ripetere una parola che sembra uno scioglilingua ma di fatto conserva una fetta importante del futuro dell’economia.
Se ancora ce ne fossero dubbi, il risultato di questa indagine vi aiuterà a dissiparli: donne ed economia è un binomio che può farci volare molto ma molto lontano.
E c’è chi oltre a pensarla così ha fatto qualcosa per dimostrarlo, per aggiungere alla pagliuzza negli occhi che di tanto in tanto ci regala la politica, qualche dato di incoraggiamento, per dire: su su, anche noi, Paese con una delle percentuali più basse in Europa di occupazione femminile, ce la possiamo fare.
Lei si chiama Lidia Marongiu, ha 40 anni e due figlie di 21 e 16 anni.  Titolare dello studio Giaccardi e Associati e amministratore unico della G&M Network, di professione fa il consulente di marketing e comunicazione, da cinque anni votata al web e ai social media. Una, insomma, che con numeri e proiezioni ci sa fare. A Lidia Marongiu la parola Womenomics viene fuori che è una bellezza. E un giorno sapete cosa ha fatto? Con l’indagine Fattore D ha alzato il velo sull’imprenditoria femminile in provincia di Ravenna, scoprendo che alla fine dal resto d’Europa non siamo poi così lontani.
Lidia, che cos’è Fattore D?
“Premetto che non mi è mai interessato granché tutto ciò che riguarda pari opportunità, famiglia e lavoro perché da libera professionista non ho mai avuto di questi problemi. Mi colpiva moltissimo tutto quello che leggevo, che le donne non lavorassero e che non riuscissero a raggiungere posizioni dirigenziali nonostante fossero preparate. Nel 2010 mi è capitato di leggere il libro ‘Rivoluzione womenomics‘ di Avivah Wittenberg Cox dove venivano riportati diversi studi fatti in Europa e negli Stati Uniti con i quali si dimostrava che nelle aziende con elevato numero di donne dirigenti, le imprese fossero più performanti: meno fallimenti, più guadagni, risultati migliori in controtendenza al momento che viveva l’economia. Mi viene l’idea di cercare di capire se anche in Italia valesse questo assunto. Ho proposto alla Camera di commercio di Ravenna di verificare che questo fosse vero anche da noi”.

Mamme al bivio

Che tipo di dati ha esaminato?
“Mi hanno messo a disposizione i bilanci  di 120 aziende della provincia di Ravenna, scelte mettendo a confronto 60 aziende femminili e 60 non femminili appartenenti a dieci settori diversi, confronto fatto a parità di dimensione. Abbiamo studiato i bilanci degli ultimi sei anni, per capire il comportamento prima e dopo la crisi. Riclassificando tutti i dati abbiamo scoperto che per 11 indicatori economici su 13 le aziende femminili erano più performanti: migliore valore aggiunto, miglior fatturato, migliore margine dopo il pagamento delle imposte. Abbiamo anche realizzato interviste per capire come fossero organizzate queste aziende. Abbiamo presentato i risultati in un convegno al quale è stata invitata anche l’economista italiana Irene Tinagli”.
Le imprese italiane che cosa ne pensano della womenomics?
“Piuttosto bisognerebbe chiedersi che cosa ne sanno.  L’altra questione focale infatti è quella dei consumi al femminile. L’80 per cento dei consumi nel mondo è decisio da donne anche quando si tratta di prodotti maschili: l’arredo, le medicine, la casa, le spese sanitarie. Eppure il marketing e la comunicazione parlano un linguaggio prevalentemente maschile, il linguaggio quando è femminile è completamente fuori luogo: i bimbi sorridono alle sei del mattino, lei è magra e felice. Nel suo libro la Avivah aveva portato come esempio le automobili: è stato progettato di tutto, accendisigari, spazio per lo smartphone, per i bicchieri, ma non per la borsa. Un oggetto senza il quale la donna non esce mai”.
Dopo Fattore D a che cosa state lavorando?
“Vogliamo realizzare una banca dati dei talenti femminili dalla quale le aziende possano attingere per assumere. E stiamo lavorando per realizzare a Ravenna il primo summit italiano sulla Womenomics”.
Cosa manca all’imprenditoria femminile per decollare in Italia?
“All’imprenditoria femminile non manca nulla. Il problema è il mercato del lavoro femminile: continuiamo ad avere sotto gli occhi dati che ci dicono che siamo indietro nonostante sappiamo che un aumento dell’occupazione femminile determinerebbe un aumento del Pil, la politica latita e non c’è un’azione forte sul piano culturale. Fino a quando le donne, anche quelle che hanno consapevolezza della necessità di ripartire gli impegni, dovranno chiedere ‘mi aiuti a fare le pulizie’, lasciando credere che sia un loro compito, siamo lontani dal risultato”.

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Commenti:

  1. Brava!! Complimenti a Lidia Marongiu per la sua ricerca e la sua visione. Ci vuole una rivoluzione culturale forte, che deve partire innanzitutto dalle donne. Rispetto agli anni Settanta paradossalmente siamo tornate indietro dal punto di vista della consapevolezza del nostro valore di genere, soprattutto le giovani generazioni. Decenni di continuo lavaggio del cervello mediatico hanno reso non più scontato che la donna non debba valere per il suo corpo ma per il suo cuore ed il suo cervello (“intelligenza emotiva”), e che la persona debba venire prima del suo aspetto esteriore. Nel mio lavoro di medico vedo decine e decine di donne intelligenti, equilibrate, preparate professionalmente che non trovano lavoro perchè sovrappeso od obese, e purtroppo questo odioso pregiudizio viene anche da imprenditrici donne.

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