Separarsi o non separarsi? Come comunicarlo ai figli? Come gestirli, evitando che soffrano? Sono solo alcune delle molte domande che le coppie in procinto di chiudere la loro relazione o che già lo hanno fatto si pongono quando scelgono la strada della mediazione familiare. Un percorso sempre più richiesto e che domani, venerdì 7 dicembre, al Kimeya di Cesena, sarà possibile conoscere (su prenotazione telefonica o liberamente tra le 16 e le 18) grazie alle due mediatrici del centro, Simonetta Guaglione e Marta Bocchini. E’ la prima a raccontarlo.
Simonetta, che cos’è la mediazione familiare?
“Va detto innanzitutto che non è la terapia familiare. La mediazione vede come interlocutori i genitori che si separano e le altre figure che ruotano intorno alla mediazione, come i nonni e i nuovi compagni. Gli obiettivi sono due: se sono ancora indecisi sull’opzione separazione, vengono per chiarirsi le idee e prendere consapevolezza. Se arrivano quando le procedure legali sono già state concluse, lo scopo è calare nella realtà gli accordi formali decisi dagli avvocati o dai giudici. Il fatto di non comunicare, infatti, crea intoppi alla gestione dei figli”.
Quando avete iniziato a offrire questo servizio e che cosa emerge dalle coppie analizzate?
“Abbiamo iniziato prima dell’estate scorsa e la richiesta c’è eccome. Le coppie hanno figli molto piccoli, di due o tre anni, ma anche adolescenti. In genere hanno tutte un grosso problema di comunicazione, che va prima o poi affrontato. Come dire ai figli che ci si separa è un grosso ostacolo, che va presto superato. Sia nel caso in cui lui e lei abbiano maturato la scelta e lo debbano dire ai figli, sia nel caso in cui un evento improvviso abbia causato la separazione, come quando uno dei due se ne va di casa. La comunicazione ai figli va recuperata, anche se in un secondo momento”.
I figli sono sempre la prima delle preoccupazioni?
“Non sempre. A volte è al primo posto, altre è strumentale. Capita per esempio che dietro la grande domanda su chi si terrà la casa, si celi una grande paura riguardo i figli”.
Da mediatrice, qual’è la sua maggiore difficoltà?
“Quando mi trovo davanti ad una separazione pseudo-inaspettata, la difficoltà è far sì che i coniugi maturino la consapevolezza di un legame che è finito ed elaborino il lutto. Se non lo fanno, la mediazione si interrompe”.
E la soddisfazione più importante, invece?
“Quando vedo uscire gli ex coniugi con una consapevolezza maggiore, molto lontana dal caos che avevano in testa all’inizio. Da noi sperimentano che esiste la possibilità di parlarsi e che questa opzione migliora le cose. Mi è capitata una coppia che grazie alla mediazione ha imparato a prendere in modo più elastico gli accordi stabiliti dal giudice, guardando ed ascoltando i propri figli. E’ stato un caso molto sereno”.
Ci si vergogna a presentarsi davanti ad un professionista come coppia che si è rotta?
“A volte sì, per questo abbiamo in progetto di avviare dei gruppi di parola, una sorta di gruppi di mutuo aiuto dove i genitori che stanno affrontando una separazione possono confrontarsi tra loro, non per forza in coppia. Vogliamo sperimentare la stessa cosa con i nonni e con i nuovi compagni”.