Una donna con una malattia cronica intestinale può diventare mamma? Sì. O almeno, dipende dalla gravità. Parola di Enrico Ricci, primario del reparto di Gastroenterologia del Morgagni-Pierantoni di Forlì, che con il suo staff si è da poco messo a lavorare ad un progetto da 160mila euro (la metà dei quali finanziati dalla Regione) per la realizzazione di un registro delle malattie croniche intestinali su scala romagnola. Un lavoro immane, che analizzerà un milione di persone e che fa seguito al registro, unico in Europa, che il reparto ha concluso sui diciotto Comuni del forlivese: “Sulle 130mila persone censite, abbiamo calcolato un’incidenza simile a quella del Nord Europa, da sempre considerato il bacino preferenziale di queste malattie. Il 10% della popolazione, anche qui da noi, ne soffre. E’ un dato che non deve spaventare, perché ci sono diversi livelli di gravità”. Certo è che non si può più parlare di malattie rare: “L’aumento c’è, questi numeri lo rivelano. Ma le cause sono a noi ancora sconosciute”. Si può dire qualcosa, invece, sull’età. A soffrire di Morbo di Crohn e Rettocolite ulcerosa non è solo la fascia 18/30 anni ma anche quella dopo i sessanta: “Questa per noi è stata la vera sorpresa, non possiamo più parlare di malattie solo giovanili”. E le donne? “Sono circa la metà della fetta. E qui nascono i problemi. Perché tra i 18 e i 30 anni, è legittima l’aspirazione ad avere dei figli”. A porre i primi ostacoli sono i farmaci: “Immunosoppressori, cortisone e farmaci biologici possono essere dannosi per il feto. Ma ci sono altri medicinali, ad azione anti-infiammatoria, che sappiamo non avere controindicazioni”. Certo è che in questi casi, una gravidanza inaspettata andrebbe evitata: “Noi consigliamo sempre di programmarla, in modo da poter aspettare una fase positiva della malattia, che ha sempre degli alti e dei bassi”. Ma c’è anche il caso in cui la malattia si presenta durante la gravidanza, come se fosse appunto quest’ultima ad evidenziare la prima: “In questo caso la terapia con la mesalazina ha ottime probabilità di riuscita, soprattutto se la paziente soffre di colite ulcerosa. L’unico problema è che il farmaco viene secreto nel latte, quindi l’allattamento al seno è da evitare”.
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