La tragedia comica di giocodanza

gioco, danzo o resto a casa?

“Questo è l’anno giusto per iniziare uno sport, tu che cosa le farai fare?”.
Il quesito mi ha gironzolato intorno tutta l’estate, convincendomi a dover decidere a quale attività iscrivere la fanciulla da settembre in avanti. Dopo un rapido calcolo di costi e benefici, la scelta è ricaduta su giocodanza. Mica un pacco a sorpresa, sapete? Tutto è stato per tempo annunciato alla piccola, condiviso con lei, programmato nei minimi dettagli, coinvolgendo anche una delle sue amichette del cuore. Con un’organizzazione tedesca: prendila da scuola, passa a ritirare l’amica, attraversa la città, cerca e trova parcheggio, spogliale e vestile, accompagnale dentro, aspetta fuori, rientra all’ora di cena (ma senza cena) con l’energia sua e mia sotto i tacchi.
Prima lezione (a porte aperte): da dio. Lei si piazza in prima fila dietro l’insegnante e prova bene o male a fare tutti gli esercizi proposti, cercando il mio consenso attraverso lo specchio con un sorriso a cinquanta denti e vacillando solo un attimo verso la fine (stanchezza, certo).
Seconda lezione (a porte semichiuse): lei entra senza fare una piega, io attendo orgogliosa fuori, lei esce a metà dell’ora con il gruppetto per bere e fare pipì, mi saluta trionfante, rientra.
Terza lezione: l’accompagno, la saluto, torno a casa. Me la riconsegna la mamma dell’amica, dicendomi che è andata benissimo.
Decido di formalizzare il tutto, la prova è superata: pago iscrizione, assicurazione e abbonamento mensile.
Quarta lezione: si ripete il protocollo della mamma dell’amica, che riportandomi la figlia mi parla di un pianto a metà lezione, subito sedato dall’insegnante. Non ci faccio caso.
Quinta e sesta lezione: la fanciulla inizia a piangere dal momento stesso in cui la ritiro da scuola, appena l’amica sale in macchina non la degna di uno sguardo, frigna nello spogliatoio e al momento di entrare mi si attacca al collo, urla, diventa viola, sbatte i piedi a terra, rifiutandosi di entrare, se non uscendo ogni tre minuti in lacrime.
Settima lezione: stessa scena di cui sopra, solo che una mamma la convince a fare due passi dentro la sala. Lei fa tutta la lezione sulla soglia della porta (che in via eccezionale per lei viene lasciata aperta), con un occhio all’insegnante e uno a me, costretta a non muovermi di mezzomillimetro, pena la sua ritirata.
Ottava lezione: non c’è mai stata un’ottava lezione. Mi sono arresa. Ha vinto lei.
Va bene, lo ammetto, forse giocodanza non è la disciplina più adatta per una bambina a cui piace tirare calci in un pallone. Forse 8-16 alla materna bastano ad esaurire le sue energie vitali. Forse a quattro non è ancora pronta per un altro impegno fisso oltre la scuola. Forse paragoniamo sempre i nostri figli a quelli degli altri. E vorremmo che ne avessero tutti i pregi (i difetti no). Ma così facendo, puntualmente sbagliamo.
L’importante? Accorgersene per tempo. E soprattutto, keep calm!

 

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