Quando si parla di famiglie, di genitori e di bambini si usano spesso i concetti di maternità e paternità. Ma la sfida più grande, oggi, secondo il pediatra e neonatologo dell’Ausl di Reggio Emilia Alessandro Volta è la co-genitorialità, una dimensione di equilibrio, simmetria e sinergia che non è affatto la somma di ciò che fa la mamma e di ciò che fa il papà. Volta ne parlerà sabato 17 ottobre alle 10 al Centro per le famiglie di Faenza (via San Giovanni Bosco, 1), nell’ambito del Festival Comunità Educante della cooperativa Kaleidos (iscrizione obbligatoria allo 0546691871 anche per chi vuole seguire l’evento online).

Quando parla di co-genitorialità, il medico non si riferisce solo alla coppia tradizionale composta da uomo e donna: “Mi è capitato, durante la presentazione del mio libro ‘L’allattamento spiegato ai papà’, che si presentasse anche una coppia di donne che avevano avuto un bambino nel punto nascita di Reggio. Dallo sguardo, forse, avevo fatto intuire loro che non mi aspettavo due donne a un incontro pensato per gli uomini. Ma la mamma non biologica mi ha sorriso, spiegandomi che quello che avevo scritto nel libro era utilissimo anche per lei. Quella volta ho davvero capito che una cosa è la teoria, un’altra la realtà, che è fatta di nomi, di facce e di storie ed è molto più bella e colorata di quel che pensiamo. Quell’episodio mi ricorda sempre che quello che noi medici diciamo, può valere a volte per contesti non prevedibili, come può essere una coppia omogenitoriale”.

Per capire cosa significa, nella realtà, essere co-genitori, per Volta basta pensare a cosa non lo è: “Non è co-genitorialità una coppia dove uno comanda e l’altro subisce, dove uno è soddisfatto e l’altro per niente, dove c’è antagonismo, dove c’è svalutazione dell’altro, dove uno fa le cose perché l’altro gli dà il permesso. Cogenitorialità può essere un’utopia, di certo è un obiettivo al quale bisogna tendere, anche se mi piacerebbe poterla descrivere come facilmente raggiungibile: è il passaggio da coppia coniugale a coppia genitoriale, è fare bene i genitori, insieme, con soddisfazione“.

Per il pediatra, oggi, è necessario perlomeno porre l’attenzione sul punto di vista che il bambino ha delle relazioni che ci sono in casa: “Abbiamo alcune ricerche, poco conosciute, che ci dicono come già dopo i tre mesi, ancora di più verso i sei, il bambino diventi un attento osservatore dei suoi genitori, sia in grado di comprendere la relazione triadica e di capire, dal dialogo tra i genitori, se ci sono ansia, conflitto, prepotenza. Addirittura, sulla base di quelle percezioni, nei mesi successivi il bambino è in grado di mettere in atto comportamenti evitanti”.

Quello che vede e che sente già da molto piccolo, insomma, il bambino lo assorbe e lo fa suo: “Il modello di convivenza e intersoggettività che avrà visto influenzerà, in adolescenza, la sua competenza scolastica e sociale perché impatterà su autostima, fiducia e visione del mondo. Dunque puntare a una buona co-genitorialità oggi significa investire su domani e fare prevenzione”. 

Quel che è certo, è che in Italia ancora manca una cultura in questo senso: “La legislazione, non favorendo per esempio i congedi paterni, non aiuta. I corsi di accompagnamento alla nascita e anche quelli post-parto sono tarati sulle donne. La figura stessa dell’ostetrica non ha ancora avuto un’evoluzione in tal direzione, concentrandosi prevalentemente sulla relazione con la futura o la neomamma. Se da un lato, dunque, oggi gli uomini sono più attenti, partecipi e hanno più iniziativa, dall’altro rispetto alle donne devono ancora fare molti passi in avanti. Durante il lockdown, quando i padri sono stati esclusi dai punti nascita, un’ostetrica ha dichiarato che era ora che la sua categoria si riprendesse quella dimensione di intimità con le donne. Lo ha detto in modo positivo ma è sintomatico di un contesto che deve necessariamente cambiare“.